Il Frankenstein di Guillermo del Toro, in Concorso a Venezia 82, è un adattamento estremamente personale del classico letterario, sospeso tra il mistero e la bellezza della diversità.

Di cosa parla Frankenstein?

Un adattamento del classico racconto di Mary Shelley su Victor Frankenstein, uno scienziato brillante ma egocentrico che dà vita a una creatura, in un mostruoso esperimento che alla fine porta alla rovina sia del creatore della sua tragica creazione.

Solo i mostri giocano a fare Dio

Guillermo del Toro ha sempre trovato nei mostri il suo linguaggio più autentico. In Frankenstein questa vocazione raggiunge forse la sua forma più radicale e intima: non un semplice adattamento del romanzo di Mary Shelley, ma un atto di fede gotica. Il regista messicano non guarda al mostro come incarnazione del terrore, bensì come specchio dell’anima umana, fragile e struggente, emarginata perché diversa eppure capace di custodire una propria verità.

Guillermo Del Toro ha sempre ribaltato l’idea classica dell’altro come minaccia, trasformandolo invece in una figura fragile, a tratti poetica e portatrice di verità nascoste. Come accadeva in Il labirinto del fauno o in La forma dell’acqua, anche qui i veri mostri non sono quelli che la società addita, ma gli uomini incapaci di ascoltare e accogliere. In Frankenstein il binomio tra mostruoso e umano raggiunge, chiaramente, il suo apice; i veri mostri non sono mai le creature deformi, ma gli uomini incapaci di riconoscere compassione e differenza.

Credits Netflix 2025

Questa rivisitazione del classico letterario diventa un espediente per raccontare una parabola di paternità spezzata, incapace di esserlo, e di figli smarriti; una riflessione sull’abbandono e sulla ricerca di riconoscimento. Il film non si limita a rievocare i fantasmi del gotico classico, ma li restituisce con la sensibilità di un autore che ha fatto della compassione verso il diverso la propria firma estetica ed etica.

Così il cuore si spezzerà, e pure spezzato vivrà

La storia, strutturata in tre capitoli (Prologo, punto di vista di Victor e punto di vista della Creatura) parla della solitudine universale di ogni creatura in cerca di un posto nel mondo. Del Toro ci invita piuttosto a guardare il mostro negli occhi, a riconoscerlo come parte di noi stessi. E lo fa attraverso Jacob Elordi che incarna la Creatura con uno sguardo che è specchio dell’anima: i suoi occhi trasmettono innocenza, rabbia, bellezza e disperazione. Al suo fianco Oscar Isaac è un Victor Frankenstein tormentato e ambizioso, un moderno Prometeo che sfida i limiti della vita, solo per rimanere intrappolato nel rimorso.

Credits Netflix 2025

La bellezza abita nell’ombra e nasce un’opera visionaria e struggente, dove la tenerezza selvaggia di Mary Shelley incontra l’estetica personale di del Toro: quella che trova nei mostri non il problema, ma la risposta a tutti i misteri.

Com’è il film?

Frankenstein di Del Toro non è solo un film sul creare la vita, ma sul riconoscerla nell’imperfezione, nella fragilità e nel dolore che ci rende umani. È un’opera che non reinventa semplicemente il mito di Shelley, ma lo fa respirare di nuovo, ricordandoci che i mostri non chiedono di essere temuti, bensì compresi. Ed è proprio in quello sguardo che il film manifesta la sua forma più pura di compassione.

REVIEW OVERVIEW
Regia
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Colonna sonora
Interpretazioni
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Michela Vasini
Procrastinatrice seriale, produttrice di film mentali e l'"amica simpatica" della protagonista. Amo il buio della sala cinematografica, ma non disdegno anche un bel film sul divano in un pomeriggio piovoso. Sono alla continua ricerca degli ingredienti necessari a rendere speciale ogni giornata; energie positive, dei buoni amici e un buon sonno. Me and karma vibe like that
frankenstein-la-recensione-del-film-di-guillermo-del-toro-venezia-82Frankenstein di Del Toro non è solo un film sul creare la vita, ma sul riconoscerla nell’imperfezione, nella fragilità e nel dolore che ci rende umani. È un’opera che non reinventa semplicemente il mito di Shelley, ma lo fa respirare di nuovo, ricordandoci che i mostri non chiedono di essere temuti, bensì compresi. Ed è proprio in quello sguardo che il film manifesta la sua forma più pura di compassione.