delirium recensione
DELIRIUM (2002) di Flavio Sciolè
Tre bizzarri personaggi, una vittima e due carnefici, si incontrano/scontrano sulla riva del mare, in una spiaggia deserta. Sullo sfondo si ammira un castello gotico, che quasi osserva e controlla le azioni dei personaggi…
Da qualche tempo a questa parte CineAvatar si diletta con grande passione nel riscoprire, disseppellire, dissotterrare opere perse nell’oblio, nei meandri oscuri del panorama undeground dell’amata-odiata penisola italiana. “Delirium” è una di queste opere (ri)trovate: un mediometraggio di 33 minuti girato da Flavio Sciolè (e prodotto da Teatro Ateo) nel lontano 2002 in una spiaggia nei pressi di Torre Cerrano, a Pineto (Teramo). Location usata, curiosità non casuale, dal mitico Sergio Bergonzelli per il suo “scult” thriller “Nelle pieghe della carne” (1970). Ma chi è Flavio Sciolè? E’ un artista (o meglio, come lui stesso si auto-definisce: un anti-artista), regista, attore, scrittore, performer italo-croato, autore di numerosi video, corti, opere teatrali e performance d’arte.
“Delirium” fa parte di quella che potremmo definire “Trilogia del Delirio”, e che comprende, oltre al mediometraggio sopra citato, anche “Ipotesi per un delirio” (2005) ed il più noto “Mondo delirium” (2011). Inutile, dannoso, quasi offensivo incasellare l’opera di Sciolè in un genere. Si potrebbe dire horror, d’avanguardia, schizo-sentimentale, surreale, thriller esistenziale, drammatico d’autore, tutto ed il contrario di tutto, ma ciò non renderebbe l’idea, nemmeno minimamente, del mood, dello stile, dell’essenza di “Delirium”.
Anche perché Sciolè per tutta la sua vita artistica è fuggito lontano dai dogmi, dagli schemi, dai crismi imposti dall’arte, e in particolare dal cinema. Sciolè dal cinema di genere prende una certa linfa ma poi la disperde, la assorbe e la mescola nella sua visione artistica personale, creando qualcosa di completamente diverso, di originale, di relativamente nuovo.
delirium
DELIRIUM (2002) di Flavio Sciolè
Delirium è sicuramente un progetto spiazzante, che travalica gli schemi, non per tutti i gusti (e per fortuna!). Totalmente anti-commerciale, parzialmente anti-narrativo. “Delirium” è disorientante senza essere banalmente provocatorio. Sciolè non vuole colpire allo stomaco e stupire a tutti i costi lo “spettatore medio”. Non ricerca lo scandalo, l’estremo, ma solamente esprimere il proprio “io” attraverso le immagini. Depurando il suo essere artista dai tanti ‘cancri’ che attanagliano gli artisti oggi: la fama di soldi, di successo, di notorietà. A Sciolè non interessa emergere a tutti i costi o fare soldi con l’arte. E questo suo essere coerentemente e testardamente anti-artista (in opposizione agli artisti odierni, plasmati e bromurizzati dalla società capitalista, servili e spenti “impiegati del Sistema”) si riversa felicemente e in modo strabordante nelle sue inquadrature, nel suo montaggio, nella sua recitazione, e in quella dei suoi attori (ottime in questo caso Marianna De Merolis e Serena Marinelli).
Sciolè non ha nessuna paura di annoiare e non piacere quando inquadra una delle sue attrici protagoniste per ben 10 minuti mentre piange dietro un cancello. Non ha paura di essere incomprensibile nello sviluppo della storia e nel finale. Eppure in “Delirium”, meglio che in tante altre sue opere, riesce a creare un’atmosfera magica, inquietante, misteriosa. Una “spiaggia-limbo” dove si muovono (forse) tre assurdi personaggi in cerca d’autore. Disperati, sospesi, irriducibili. E terribilmente lucidi nella loro meccanica follia. Fatevi tutti un gran regalo: recuperate “Delirium” in qualche modo, ne vale la pena.