Presentato in Concorso a Venezia 81, Babygirl di Halina Reijn è un film sul potere e i desideri sessuali inespressi

Di cosa parla Babygirl?

Una potente amministratrice delegata (Nicole Kidman) mette a repentaglio la carriera e la famiglia quando inizia una torbida relazione con un suo stagista (Harris Dickinson) molto più giovane.

Sesso? No, grazie

Dalla trama ci si aspetterebbe un film erotico che approfondisce la ricerca, e la scoperta, delle fantasie più nascoste di una donna che vuole sperimentare cose nuove in ambito sessuale. Purtroppo, in realtà non è così. Se pensate che quello che viene messo in scena sia scabroso, provocante e fuori dagli schemi (che concetto orribile da associare alla sfera sessuale, comunque), forse siete anche voi parte del problema sui tabù sul sesso. Inoltre la trama, che millanta una situazione così rischiosa da mettere a repentaglio famiglia e lavoro, non si realizza mai. La protagonista, fino alla fine del film, non rischia assolutamente niente. Un racconto completamente inesistente in cui il sesso è la lettera scarlatta di una donna fin troppo annoiata.

Babygirl recensione

Potere e femminismo

La relazione al centro di Babygirl, quella tra Romy e il giovane Samuel, nasce come un gioco di potere che presto si incaglia in una confusione di ruoli e desideri sessuali. Samuel non ha gli strumenti per comprendere la vera natura della relazione e agisce come un qualsiasi ragazzino con il giocattolo nuovo, spingendosi fin dove la sua esperienza può portarlo. E diciamoci la verità, potevamo aspettarci molto di più.

Senza entrare nel merito della dialettica femminista ci si poteva aspettare una maggior cura sulla questione della sessualità da parte di una donna. Il vero femminismo è richiedere che i propri bisogni e desideri sessuali vengano ascoltati, condivisi e ci sia rispetto e consenso nella messa in pratica. Il racconto aggira questo passaggio facendo scegliere alla protagonista la strada più facile; quella della scappatoia in un rapporto privo di senso che poteva benissimo essere sviluppato e condiviso con il marito (Antonio Banderas).

“Io non sono una donna normale”

Il personaggio di Romy ci tiene a sottolineare che è una donna che ha esigenze sessuali non convenzionali, demoni che la perseguitano da quando era giovane e che non ha mai espresso per non rovinare l’immagine di donna perfetta di fronte agli occhi del marito. Se c’è qualcosa di “non normale”, qui, è proprio la mancanza di comunicazione nell’intimità.

La regista affronta il sesso come se fosse una macchia sulla coscienza, un desiderio che deve rimanere privato; non c’è rappresentazione e non c’è empatia nei confronti della protagonista e, anzi, lo spettatore tende a prendere le distanze da questo quadretto alto borghese sessualmente represso.

Il concetto stesso di normale fa parte di una narrazione tossica di cui la regista diventa complice, soprattutto nel voler far luce sulle sfaccettature più intime della natura umana senza alcun giudizio, ma ottenendo invece, l’esatto contrario.

Babygirl recensione

È possibile parlare ancora di tabù?

Bisogna smettere di raccontare il sesso come un tabù, come qualcosa di cui non si parla. Questa narrazione, che viene confusa con il desiderio del proibito, della scappatella facile che non ha conseguenze, è profondamente errata.

C’è un sottile bigottismo di fondo che permane in tutto il film, l’idea che se qualcuno ha delle esigenze sessuali diverse sia da considerare sbagliato. Diverse poi da cosa? Il film mette in scena una sessualità aperta, certo, ma non così proibita come vuole far intendere; qui siamo proprio alle basi di ogni rapporto. A questo va ad aggiungersi la retorica della donna di successo e potere che per ricercare un piacere mai provato (non parliamo della luna, ma di un semplice orgasmo) deve farsi sottomettere; non c’è concetto più fuorviante e ingiusto.

Babygirl macina ipocrisia, un film a tratti ridicolo in maniera involontaria che vende un pensiero falso sul sesso. E per favore, non prendete esempio da questo film, e chiedete sempre quello di cui avete bisogno tra le lenzuola.

Foto: La Biennale di Venezia