ANTIGONE – La recensione del film di Sophie Deraspe

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Antigone
Nahéma Ricci in Antigone
La bellezza dei classici è che sono senza tempo. Gallerie di vizi e virtù universali, perché fondanti il genere umano, sorvolano lo scorrere dei secoli mantenendo intatto il loro spirito attuale. Trasportati nell’età contemporanea, o tradotti sullo schermo in forma pedissequa e filologica, le tragedie greche non perdono la propria forza narrativa, condizionando e ispirando narrazioni future e destinate ad altre modalità di consumo; la vernice che le ammanta rimane fresca, impossibile da sbiadire perché fabbricata con la stessa sostanza di cui sono fatti i nostri difetti, pregi, peccati e gesti di infinità bontà. Ecco allora che un’opera come l’”Antigone” di Sofocle si ritrova a vivere 2mila e cinquecento anni dopo una nuova esistenza tra le strade di una Montrèal dei giorni nostri. Un mondo in cui il pregiudizio gioca su livelli ancora troppo elevati, e le armi sparano i propri colpi con troppa, orrenda, facilità. Non a caso a dare il via all’azione, dopo un iniziale momento di calma apparente (necessario all’introduzione dei vari personaggi) è l’uccisione del fratello della protagonista, Étéocle, da parte della polizia e l’arresto di Polynice. Una bomba lanciata al cuore della famiglia, memore di un altro caso di cronaca (questa volta reale) avvenuto il 9 agosto del 2008 sempre in un parcheggio a Montreal. Il giovane immigrato Fredy Villanueva, proprio come il suo gemello cinematografico Étéocle, cadde al suolo colpito dalle pallottole della polizia; un’azione violenta, insensata, che scosse l’opinione pubblica tanto da dare il via a proteste e manifestazioni non dissimili da quelle reduplicate dalla regista attraverso lo schermo di uno smartphone in perenne connessione e condivisione del mondo tra stories di Instagram e video su Youtube.
Diretto da Sophie Deraspe e presentato alla Festa del cinema di Roma 2019, Antigone non perde la forza del suo testo di partenza. L’eroina che tiene unita la famiglia, disposta a tutto pur di mantenere fede ai propri valori di umanità e fratellanza, vola nei secoli, si slega dalle pagine in cui era stata imprigionata per trasformarsi in immagine in movimento. La forza della ragazza, la sua volontà di ribellione per un sistema in cui non si riconosce, sono custoditi negli occhi azzurri di un mare in tempesta di Nahéma Ricci. È lei, studentessa modello pronta a sacrificarsi in nome dei propri fratelli, il fulcro della storia; sua la capacità di farsi portavoce di un malcontento generale in cui chi ha il potere non ha paura di sfruttarlo a proprio piacimento, andando perfino contro il senso stesso di umana compassione. La regista, non a caso, ama indugiare sul volto della propria protagonista; la scruta con riprese ristrette cogliendo ogni minimo mutamento umorale o leggera espressione nata in seno a un terremoto emotivo pronto a deflagrare. Non appena, però, il ruolo di collante domestico e sociale torna a ricordare l’unicità del personaggio di Antigone, ecco che la ragazza viene immortalata in piani più ampi, tra totali e campi lunghi che la colgono abbracciata alle altre ragazze del centro in cui si ritrova rinchiusa, o ai propri famigliari.
Lo stile mai intrusivo della Deraspe permette inoltre allo spettatore di instaurare un legame privilegiato e di empatica condivisione con la propria protagonista. Gioiamo con lei e uniamo la nostra voce alla sua, mentre incredula lancia con tutta la propria disperazione urla estenuanti contro una giustizia sorda e un sistema giudiziario incapace di ascoltarla e comprenderla. Ogni inquadratura è un frammento marmoreo di un’immagine iconoclasta di un’eroina tanto immortale, quanto dei nostri tempi: una combattente che va contro le tradizioni impostele e alle convenzioni di opinioni ritenute fondamentali da una società a cui non si sente più appartenere. Forte della straordinaria interpretazione di Nahéma Ricci e della regia di Sophie Deraspe (sebbene gli inserti “social” frenino la poesia della sua opera, intaccando negativamente l’ottima resa visiva) Antigone è un saggio sulla famiglia, sulla forza delle donne, sull’ingiustizia che ci schiaccia e contro cui, insieme, non dobbiamo aver paura di ribellarci. Un’opera che oggi più che mai abbiamo bisogno di recuperare, ritrovando quell’umanità troppo spesso ritenuta scontata e che, sparo dopo sparo, rischiamo di perdere sempre più.