Oggi, 15 giugno 2020, l’ultimo re di Roma
Alberto Sordi avrebbe compiuto 100 anni

”Io so’ sicuro che nun sei arivato ancora da San Pietro in ginocchione/ A mezza strada te sarai fermato/ A guarda’ sta fiumana de persone/ Te renni conto si c’hai combinato?/ Questo e’ amore, sincero; e’ commozione; e rimprovero perche’ te ne sei annato/ Rispetto vero: tutto pe’ Albertone…/ Starai dicenno: ‘ma che state a fa’? Ve vedo tutti tristi, ner dolore’./ E c’hai raggione! Tutta la citta’ sbrilluccica de lacrime e ricordi/ E tu nun sei sortanto un granne attore… Tu sei tanto de piu’: sei Alberto Sordi”.

Era il 27 febbraio del 2003 e con questo sonetto popolare Gigi Proietti salutava ed omaggiava, in una Piazza San Giovanni in Laterano gremita di folla, Alberto Sordi. Oltre 250 mila persone da tutta Italia erano giunte nella capitale per ringraziare “Albertone”. Figlio, padre e poi nonno di tutti gli italiani.

Quel giorno chiesi ai miei genitori di non andare a scuola per assistere al suo funerale, tanto sentivo vicino il lutto di tutta la nazione per la scomparsa non solo di un attore di razza, una maschera del ‘900 alla pari di Totò e Pulcinella, ma di una persona che in oltre 50 anni di carriera aveva raccontato i vizi e i difetti della sua amata Italia.

Poco importa la sua preparazione che di accademico non aveva nulla. Lui era lui: spontaneo, genuino, un tornado che con quella voce baritonale entrava nei cinematografi – e successivamente – nelle case degli italiani.

Il Sordi privato era l’esatto opposto, come abbiamo potuto conoscere meglio nel documentario di Luca VerdoneAlberto Il Grande”. Un uomo dalla grande morale cattolica, un Credente con la “C” maiuscola che prima di uscire dalla sua villa sull’Appia Antica pregava davanti a una statua della Santa Vergine, lasciando ogni giorno una rosa fresca.

Sordi ha dedicato la sua intera esistenza al cinema, lavorando anche a 10 film all’anno e riuscendo a scindere la sua vita pubblica da quella privata, di cui era gelosissimo fino agli estremi. Come diceva lui “e che mi metto un’estranea in casa?“, questo mantra lo ha seguito tutta la vita, se chiedete ai paparazzi dell’epoca il numero di donne che ha avuto nella sua vita la risposta è solo una “di documentato c’è solo la storia con l’attrice Andreina Pagnani, più grande di lui di 14 anni.”

Alberto Sordi nasce nel rione Trastevere e fin da giovane muove i primi passi nel teatro d’avanspettacolo. Dopo l’esperienza negativa all’Accademia dei filodrammatici di Milano, dove viene espulso per la sua inflessione romanesca, Alberto vince un concorso della MGM diventando la voce ufficiale di Oliver Hardy.

Nell’immediato Dopoguerra – prima ancora di vederlo al cinematografo – la sua voce accompagna gli italiani nella prima ricostruzione: il guizzo e l’estro del giovane Sordi danno vita alla satira dei Compagnucci della parrocchietta, Mario Pio “Brondo? Qui Mario Pio, gon ghi parlo io?” o il Conte Claro che s’ispira al personaggio della Contessa Clara, pseudonimo dietro il quale si celava la giornalista e scrittrice Irene Brin che all’epoca curava rubriche di bon ton.

Ed è proprio grazie alla radio che Vittorio De Sica, che amava così tanto quella satira all’Azione Cattolica, offre al 31enne Sordi il suo primo ruolo da protagonista in Mamma Mia Che Impressione (1951). Dopo anni di gavetta con ruoli minori il cinema si accorge di lui, anche se gli incassi furono deludenti.

Alberto Sordi e Federico Fellini a Venezia

Nel 1952 il suo amico Federico Fellini debutta alla regia (senza contare Luci del Varietà che aveva co-diretto con Alberto Lattuada) con Lo Sceicco Bianco, dove accanto a un irresistibile Leopoldo Trieste, Sordi dà il meglio impersonando l’attorucolo di fotoromanzi Fernando Rivoli.

Il sodalizio con il suo compagno di sventura negli anni bui si rafforza con I Vitelloni, il film della consacrazione: Sordi come attore e Fellini come regista, tanto da essere accolti alla 14esima Mostra del Cinema di Venezia vincendo il Leone d’Argento e successivamente 3 Nastri d’Argento.

I Vitelloni (1953)

Gli anni 50 sono gli anni dell’Albertone anarchico e parodistico, quello che per la critica feroce dell’epoca è la sopravvalutazione dell’italiano medio. Con Steno ci regala fra le migliori commedie italiane Un Giorno in Pretura e Un Americano a Roma, dove interpreta il personaggio iconico di Nando Mericoni, un ragazzo che rappresenta la generazione esterofila degli Stati Uniti d’America. Poi arrivano Venezia, La Luna e Tu di Dino Risi, Il Vedovo Il Conte Max.

Il 1959 è l’anno de La Grande Guerra, il film di Mario Monicelli con Vittorio Gassman e Silvana Mangano, che lo avvicina al ruolo drammatico di un soldato disertore che si riscatta dalla sua vigliaccheria morendo da eroe. Il successo dell’opera non ha eguali. A Venezia vince il Leone d’Oro ex-aequo con Il Generale Della Rovere di Roberto Rossellini e Sordi come migliore interpretazione, ai David di Donatello il trio Monicelli, Sordi e Gassman vince tutto e oltreoceano l’Academy lo inserisce nella cinquina di “miglior film straniero”.

Nel 1966 Sordi esordisce alla regia con Fumo di Londra (ne dirigerà altri 18), considerato il migliore della sua carriera da regista, con il quale vince il David di Donatello per l’interpretazione maschile dell’antiquario Dante Fontana.

Come si può raccontare una carriera lunga e ricca di opere come la sua senza dilungarsi troppo?

Raccontando l’Alberto Sordi che ho conosciuto fra le mura della mia casa, e poi dopo con i suoi film più importanti.

Se cerco nella memoria il primo ricordo, trovo l’Alberto Sordi maturo, quello del dottor Guido Tersilli, del Marchese Del Grillo, del tassinaro Pietro Marchetti o di Roberto Razzi di Sono un Fenomeno Paranormale, che la mia famiglia faceva entrare nel salotto come un amico di famiglia di lunga data. Ed è questa la differenza percepita dal popolo se paragonato a un Vittorio Gassman, amato come Sordi ma così ieratico da suscitare un reverenziale timore.

Lontano dai salotti dell’intellighènzia, Alberto è stato tutta la vita in mezzo al suo pubblico di ogni ceto sociale, amandolo e sentendosi ricambiato come quando Francesco Rutelli lo nominò sindaco di Roma per un giorno in occasione dei suoi 80 anni.

Se in quel momento l’Italia lo fece sindaco, oggi che avrebbe compiuto 100 anni Sergio Mattarella lo avrebbe accolto al Quirinale nominandolo Presidente della Repubblica per un giorno.

Tanti Auguri Alberto!

Fonte: Fondazione Alberto Sordi