La censura cinematografica in Italia è abolita “ora et semper” grazie al nuovo decreto attuativo del Ministro Dario Fransceschini

Il 5 aprile 2021 è una data storica che segna l’abolizione della censura cinematografica suggellata dalla firma del Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. Con il decreto attuativo che segue la legge n.220 del 14 novembre 2016, la cosiddetta “Legge Cinema”, s’istituisce la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche presieduta dal presidente Alessandro Pajno e da 49 membri selezionati della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo che ha il compito di vigilare e verificare sulla corretta classificazione da parte degli operatori.

Dopo oltre un secolo non ci sarà più alcuna opera di censura: nessun divieto di uscita nelle sale, tagli o modifiche alle pellicole; il decreto ammette 4 nuove categorie divisi in “per tutto il pubblico”, e minori di 6, 14 e 18 anni. Gli stessi produttori selezioneranno la categoria di appartenenza, un’autoregolamentazione vera e propria, e la commissione avallerà o meno la decisione, cambiandola qualora fosse necessario.

Abolita la censura cinematografica, definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti (Dario Franceschini)

Totò Che Visse Due Volte del 1998 scritto e diretto da Ciprì e Maresco e l’horror di Raffaele Picchio Morituris del 2011 sono state le ultime vittime della censura con l’applicazione della legge del 1962 – rimasta in vigore fino a quest’anno – sulla Revisione dei film e dei lavori teatrali.

Da prima della nascita del cinematografico con il Regio Decreto del 1913, al regime fascista con il MinCulPop che comprese le potenzialità, e quindi i pericoli, del mezzo sul popolo, fino ad arrivare Secondo Dopoguerra con le pressioni del mondo cattolico della Democrazia Cristiana, la censura ha colpito inesorabile e senza sosta.

Uno dei casi più celebri risale al 1952, quando l’allora trentatreenne sottosegretario allo spettacolo Giulio Andreotti parlando di Umberto D., l’opera più importante del sodalizio fra Vittorio De Sica e Cesare Zavattini, dramma più che attuale di un pensionato che vive nella miseria e solitudine, inserita nella lista delle 100 migliori opere del Time, disse che “i panni sporchi si lavano in famiglia” (anche se c’è chi sostiene che non l’abbia mai detto).

Se è vero che il male si può combattere anche mettendone duramente a nudo gli aspetti più crudi è pur vero che se nel mondo si sarà indotti, erroneamente, a ritenere che quella di Umberto D. è l’Italia della metà del secolo ventesimo, De Sica avrà reso un pessimo servigio alla sua patria (Giulio Andreotti)

Per comprendere il pensiero della corrente andreottiana democristiana vi consigliamo la pellicola-documentario del critico e regista Tatti Sanguineti Giulio Andreotti – Il cinema visto da vicino, distribuita dall’Istituto Luce-Cinecittà e presentata alla 71ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia; una lunga conversazione fra Sanguineti e il senatore scomparso nel 2013 riguardo il suo rapporto con il cinema italiano, inframmezzata da materiali di repertorio e brani di film.

 

Fonte: Beni Culturali