Abbiamo intervistato il regista emiliano Giulio Manicardi, recentemente coinvolto nella produzione della serie tv Prime Video “Veleno”. Ecco cosa ci ha raccontato!

Buongiorno Giulio! Prima di parlare di “Veleno”, vorrei tornare ancora una volta sul tuo bel corto “Like”, che ha avuto un percorso distributivo e festivaliero molto lungo ed interessante. Ce ne puoi parlare?

“Like” nasce fondamentalmente nel 2016 come cortometraggio indipendente. Volevo dare corpo ad un mio punto di vista, sia da spettatore che da regista, sul potere che stavano assumendo i social network nelle nostre vite. Devo aver intercettato un “sentire comune”, tant’è che pure io rimasi sorpreso dalla risposta dei festival e distributiva ebbe avuto. Negli anni successivi è stato distribuito in home video dalla Home Movies e dovrebbe presto approdare nel catalogo di Amazon Prime Video.

Ma veniamo a “Veleno”, serie tv di Prime Video in 5 episodi di Hugo Berkeley che parla di presunti casi di cronaca legati alla pedofilia avvenuti negli anni ’90 nella Bassa Modenese, proprio dove vivi tu. Che ruolo hai avuto nella produzione?

Poco più di un anno fa venni coinvolto da Fremantle nella produzione come location manager e assistente di produzione. Serviva qualcuno che conoscesse il territorio e che procacciasse le location adatte e al contempo fosse consapevole delle complessità e delle esigenze che prevedono la gestione e il coordinamento di un set. Purtroppo il sisma del 2012 ha modificato profondamente la struttura urbana dei luoghi che fecero da scenario alla vicenda degli anni ’90, così è stato spesso necessario un lavoro di ricerca e adattamento.

giulio manicardi

Puoi raccontarci qualche aneddoto avvenuto sul set di “Veleno”?

Forse quello che mi è rimasto più impresso è stato durante una sessione di riprese in notturna per la scena con le macchine della polizia. Avevamo cinque auto di scena degli anni ’90 con altrettanti autisti stunt che dovevamo coordinare in un tratto di strada circoscritto e appositamente chiuso per le riprese. Naturalmente, nonostante fossimo in possesso dei permessi necessari, questo creò non poco malcontento negli automobilisti di passaggio e nei residenti. Una di queste, una signora di circa 70 anni, era affacciata alla finestra e mi fissava. Io la rincuorai dicendole di non preoccuparsi, ma lei in tutta tranquillità mi avvisò di aver chiamato i carabinieri. In quel preciso momento, con il tempismo di una gag comica, le nostre auto di scena sbucano dalla curva e parcheggiano intono a me circondandomi. Colgo al volo l’occasione e chiedo agli stunt di caricarmi sul retro e partire a sirene spiegate. Loro mi assecondano e in pochi istanti vengo scortato via tra lo scrosciare degli applausi della signora. Una supercazzola degna di “Amici miei”!

Hai ascoltato il famoso podcast di Pablo Trincia sull’argomento? Se si, cosa ne pensi? Ti è piaciuto?

Molto! Prima di approcciarmi alla serie avevo già ascoltato il podcast e letto il libro. Mi ha colpito molto come, solo con voce ed effetti sonori, riuscisse già a richiamare immagini vivide e creare quel senso di inquietudine che impregna tutta la narrazione. Da allora mi ha incuriosito molto il mondo dei podcast. Credo offrano una interessante sperimentazione del linguaggio!

Al di là di tutto, ti sei fatto un’idea personale su ciò che è successo nella Bassa Modenese in quegli anni?

Che si voglia o meno la vicenda arriva a toccarti in qualche modo. Che si creda all’una o all’altra versione c’è stato troppo male e, come per tutte le cose, quando ce n’è troppo, strabocca contaminando tutto quello che gli sta intorno. È vero il detto “la dose fa il veleno”. Così ti ritrovi anche tu ad essere “avvelenato”. Personalmente credo ci siano tante verità, a seconda dei vari punti di vista, e altrettante menzogne. Quello che è certo e reale è ciò che quella vicenda generò: terrore, diffidenza nelle istituzioni, sfiducia nella giustizia, paura di ritrovarsi disarmati.

giulio manicardi

Che sensazioni hai provato collaborando ad un progetto che ha scavato coraggiosamente nelle grandi “zone d’ombra” di un territorio dove sei cresciuto e dove tuttora vivi?

Sono sempre stato attratto dalle “storie nere” che hanno come cornice scenari di provincia, con il loro isolamento, l’arretratezza, il silenzio, da quando vidi “La casa dalle finestre che ridono” di Pupi Avati. La Bassa Modenese è un luogo particolare: a metà strada da tutto, ma fondamentalmente vicino a nulla; non ci sono ostacoli all’orizzonte e l’occhio può spingersi fino a dove può vedere, anche rischiando di perdersi; è pianeggiante ma venato da fiumi e canali; la geometria quasi metafisica dei pioppeti. D’altronde Guccini la colloca “tra la via Emilia e il west”.

Dopo “Veleno”, ci sono progetti cinematografici in cantiere per te? Stai lavorando su qualche progetto personale, tutto tuo? Se si, ci puoi anticipare qualcosa?

Diverse al momento. Continuerò a collaborare con Fremantle per altri progetti, ma sto lavorando alla messa in produzione di un nuovo cortometraggio: un thriller/horror sulla scia di “Like”. Conto di girarlo entro l’anno.

Hai voglia di salutare i tuoi follower e i lettori di CineAvatar?

Certo! Sono sempre felice di scambiare e ricevere pareri con i follower e gli spettatori. Colgo quindi l’occasione per salutare tutti.