Sarebbe scorretto affermare che, prima del neuropatologo nigeriano Bennet Omalu (Will Smith), nessuno avesse ancora esplorato quella zona d’ombra tra il football americano e le morti di tanti nuovi ex giocatori, tutte avvenute in seguito a problemi cerebrali apparentemente insondabili. La NFL, National Football League, sapeva che circa il 28% dei giocatori professionisti avrebbe subito dei disagi legati alle conseguenze del gioco duro che, per dieci o vent’anni, avrebbe sballottato il cervello nel cranio e stremato i nervi. Non ha parlato perché il football è la prima religione di Pittsburgh e di buona parte degli Stati Uniti, e come tale ha bisogno di vittime da sacrificare sul suo altare. Omalu, tuttavia, è troppo coscienzioso e curioso per lasciare che la diagnosi Mike Webster – la prima di queste vittime – sia archiviata come semplice “alzheimer precoce”, e spera di trovare nella sua materia grigia le tracce di una storia più complessa: quella che conduca all’ECT, Encefalopatia Cronica Traumatica.
Zona d’Ombra – Photo: courtesy of Warner Bros. Entertainment Italia
Diretto da Peter Landesman, Zona d’ombra è la storia di un uomo solo contro le istituzioni, che non riesce a mettere il proprio talento prima degli interessi economici di un gigante; è il racconto di come la scienza debba faticare sempre più del previsto, quando sfida l’intrattenimento e rischia di infrangere i sogni di milioni di persone. Ma è anche la storia di uno straniero che, desiderando diventare americano con tutto se stesso, ha scelto la strada sbagliata per diventare un eroe: dire la verità, sempre, e farsi odiare anche perché africano – nemmeno meticcio, afroamericano – persino dagli altri neri. Raro capolavoro, destino che rende ancor più interessante la vicenda, raccontata diligentemente secondo i canoni di un genere che si potrebbe definire “medico buono vs società marcia“. Accanto ai pregi, come l’empatia con la voglia di rivalsa di Omalu e un quadro chiaro e comune di cosa succede a chi sfida una lobby dello sport, compaiono alcuni prevedibili difetti: qualche linea di dialogo scontata, senza mordente – forse peggiorata dalla traduzione o dall’enfasi del doppiaggio -, i cattivi troppo cattivi e alcuni cali di tensione nell’ultimo terzo del film. Il soggetto, però, riesce a imporsi sulle imperfezioni. Intenso.