La recensione di The Legend of Tarzan, il nuovo film di  David Yates con Alexander Skarsgard

È profondamente sbagliato sostenere che Hollywood abbia finito le idee e puntare il dito contro l’enorme quantità di prodotti non originali che porta sullo schermo. In particolare, moltissimi classici, sia letterari che di animazione, vengono riproposti in live action con un notevole successo di pubblico.

Non si tratta di mancanze creative poiché, in molti casi, queste nuove versioni sono innovative, ricche di brio e vivacità. Spesso infatti l’attualizzazione di un classico, noto a più generazioni, rappresenta una scusa per parlare di argomenti universali, modulari e quasi mitologici, con l’intento di rivitalizzarli. Il libro della giungla di Favreau, ad esempio, percorreva brillantemente questa strada. Non solo il livello qualitativo degli effetti speciali era superlativo, ma anche i temi e il contenuto morale venivano sottoposti allo spettatore con una freschezza da ammirare.

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Una nuova trasposizione

Per quanto riguarda invece The Legend of Tarzan il discorso è molto diverso. Siamo di fronte ad un personaggio molto, troppo, sfruttato negli ultimi anni senza alcuna variazione rispetto all’immaginario classico. Questo eccessivo impiego non sarebbe un problema se David Yates fosse riuscito a trovare una chiave originale, accattivante, per l’ennesimo film sull’Uomo Scimmia.

Purtroppo però il regista, forse provato dalle fatiche della saga di Harry Potter (di cui ricordiamo in particolare dell’ultimo capitolo, forse il suo film migliore) e dall’imminente Animali Fantastici, appare indebolito e confuso. Il tono utilizzato è eccessivamente serioso. La grande fatica per la ricerca di realismo e di un patto di complicità con il pubblico impostato sulla plausibilità, appesantisce molto il terzo atto in cui emerge l’aspetto più fantasy della pellicola. Visivamente il film paga anche il mancato utilizzo della motion capture, che avrebbe reso lo sguardo e le mosse degli animali molto più concrete ed emotivamente valide.

the legend of tarzan - Photo: courtesy of Warner Bros. Pictures
Photo: courtesy of Warner Bros. Pictures
Alla ricerca di originalità

The Legend of Tarzan inizia nel momento in cui le molteplici trasposizioni terminavano. John Clayton III, Lord Greystoke, una volta conosciuto come Tarzan (Alexander Skarsgard), ha lasciato la giungla e vive assieme a Jane (Margot Robbie) conducendo una vita borghese. Una serie di eventi lo inducono a ritornare in Congo come emissario al commercio del Parlamento e indagare su una serie di traffici di diamanti alquanto sospetti.

I temi principali del film sono fin troppo classici e narrati senza disinvoltura: il rapporto dell’uomo con la natura, l’abuso delle risorse del terreno e, soprattutto, l’avidità di denaro che porta allo sterminio di intere popolazioni. Ogni ragionamento sembra appartenere ad un cinema di vent’anni fa, molto diretto, molto semplice come messaggio ma abbastanza complesso dal punto di vista della trama. Eppure La leggenda di Tarzan fatica a scovare un nuovo piglio, che parli alle nuove generazioni in modo leggero.

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Alexander Skarsgard in The Legend of Tarzan recensione
Un film per chi ama il personaggio di Tarzan

C’è un lato positivo però: per gli appassionati del personaggio questa trasposizione potrebbe piacere più di quanto ci si potrebbe aspettare. Bisogna ammettere infatti che la mitologia, le atmosfere e i costumi, vengono riprodotti con fedeltà e rispetto. Bisogna dare atto che c’è una consapevolezza da parte di Yates nel maneggiare un personaggio talmente iconico da essere paragonato a Maciste e ai classici superuomini del cinema.

Per questo motivo non si può fare altro che dispiacersi ulteriormente quando, a fronte di questa cura della raffigurazione, ci si rende conto che l’urlo di Tarzan non provoca più i brividi di un tempo e che, sulle liane in computer grafica… sembra molto Spider-Man.

Consigliato a: gli amanti del personaggio. Loro lo apprezzeranno molto, gli altri un po’meno. ATTENZIONE, non portate i bambini troppo piccoli, è più cupo di quello che ci si aspetti.

Gabriele Lingiardi

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