
The Great Wall doveva essere per la Cina quello che The Lego Movie è stato per l’azienda danese. E, da questo punto di vista, può dirsi un successo. Con un lavoro di riduzione simbolica il regista Zhāng Yìmóu cerca di affascinare il pubblico abituato ai classici blockbuster americani. La grande muraglia viene resa l’emblema di un’intera nazione (processo normale nella sintesi) e il cast misto, composto dagli occidentali Matt Damon e Willem Dafoe e dalle super star cinesi come Jing Tian, spinge al massimo l’intreccio culturale del film.
Se l’onestà cinematografica, la consapevolezza di quello che si è, può essere considerata un pregio, allora The Great Wall rappresenta una vittoria. Sin dalle prime battute infatti il tentativo sembra essere quello di non prendersi sul serio. Come viene dichiarato esplicitamente, ci sono molti fatti veri attorno alla muraglia… ma questi appartengono alla leggenda. Eppure l’anima del lungometraggio è tutt’altro che rievocativa, mischiando il turbinio visivo americano con l’eleganza dell’azione orientale dei wuxiapian. “Hero incontra World War Z”, forse questa sarebbe stata la tagline perfetta per la pellicola.
In The Great Wall tutto è finalizzato a porre l’accento sul fascino esoterico della cultura cinese. I costumi, coloratissimi, attirano e deliziano lo sguardo. Le strategie di combattimento vengono esposte con un fascino a cavallo tra gli anni ’90 e i primi del 2000. Le coreografie, i rallentatori eccessivamente enfatici, tipici dello stile di Yimou, preservano un gusto proprio e deciso. Preso per quello che è – un tentativo di unire il mercato cinese con quello statunitense – The Great Wall centra l’obiettivo. L’intera struttura, esplosiva e scintillante, crolla però nei momenti di legame tra un combattimento e l’altro. Per quanto la sceneggiatura sia lineare, il montaggio sbilancia il racconto con un continuo susseguirsi di sequenze sopra le righe e momenti di stallo.
