SHAZAM, la recensione del film di David F. Sandberg

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Zachary Levi è Shazam nel cinecomic DC
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Zachary Levi è Shazam nel cinecomic DC
Non sembra neanche un film di supereroi lo scanzonato Shazam diretto da David F. Sandberg, che vede Zachary Levi nel ruolo della star principale: un casting di grandissimo intuito. Colorato, leggero, incentrato su una storia piccola e intima. La sua anima è evidentemente altrove, lontana dalla solennità catastrofica che aveva caratterizzato i precedenti film del cosiddetto DC Extended Universe, lontana dai crossover dell’universo condiviso Marvel e, soprattutto, assai lontana dalla spettacolarità a cui siamo abituati.
Shazam vince, e lo diciamo con un certo orgoglio (abbiamo cercato per anni un film così riuscito nella scuderia DC), grazie alla scelta di operare in sottrazione. Meno di tutto: meno serietà (il film è molto divertente), meno distruzione (il duello finale è così paradossale e scanzonato da potere essere considerato quasi un anticlimax), è ridotta anche la durata così come la quantità di temi da trattare.
Il cinecomic parla di una cosa: della famiglia. Della sua importanza come nucleo emotivo e sentimentale, dove senso di appartenenza e unione completano il percorso di ricerca di se stessi e del proprio io. E lo fa benissimo! Tutto ciò che circonda questa linea di trama, quella di Billy Batson, abbandonato dalla madre durante l’infanzia e alla costante ricerca delle sue radici, è un’aggiunta quasi superflua. Quando il ragazzo viene scelto come campione del Mago Shazam dovrà imparare a gestire i poteri appena acquisiti e a convivere con un alter ego decisamente ingombrante. 
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Shazam! – Steve Wilkie/© DC Comics
David F. Sandberg imbastisce un film che attinge dalle proprie fonti di ispirazione la sua energia: c’è Kick-Ass nei costumi e nel tono, Chronicles nel gusto di sperimentare i poteri, i Goonies nell’uso scanzonato della fantasia e decine di altre citazioni (Game of Thrones, Rocky, Harry Potter…), Spider-Man Homecoming e Un nuovo universo negli argomenti young adult e nelle modalità di sviluppare il racconto. Ritorna il tema dell’identità segreta, da tempo scomparso nei cinefumetti, così come i villain diametralmente opposti all’eroe per motivazioni e caratteristiche. Billy dovrà dimostrare di essere puro e degno, per combattere il male incarnato dai sette peccati capitali; Shazam è luce dove c’è buio. E se è fastidioso l’approccio “regale” ai poteri, dove non sono mai persone a caso a fare cose straordinarie, ma comunque individui speciali che vengono “eletti” dall’alto, è anche vero che Sandberg fa un ottimo lavoro nello stemperare questo retaggio del personaggio. Il calore che i comprimari conferiscono al film è ciò che resta a fine visione. Tutti quei personaggi apparentemente di contorno, salvo diventare centrali in un colpo di scena (forse troppo telefonato), riescono a ottimizzare il loro ridotto screen time e a permettere un’identificazione in loro. 
Shazam non è di certo un cinecomic perfetto, il terzo atto è troppo insistito e tende a perdere l’interesse presto, l’andamento del film procede a singhiozzo e il villain resta troppo abbozzato. Ma è un film fatto con il cuore e con un’idea ben precisa in testa. Il regista vuole raccontare una storia, non impostare un universo. Shazam non ha paura di essere un film per giovani e giovanissimi e, con questo atto di coraggio, ritrova in pieno la magia del cinema: quella di permettere a chi ha una mente aperta di sognare voli intergalattici e gesta (super)eroiche.