In Mia di Ivano De Matteo la bellezza della crescita e dell’amore famigliare vengono “uccisi” dai “bravi ragazzi” e dall’indifferenza sociale
È doloroso entrare in empatia con la sfera interiore di personaggi spezzati dalle conseguenze di un “amore” tossico. Sono volti che riflettono un copione tristemente noto, replicato troppe volte nella realtà odierna. Ancor più delicato è trattare vicende che riguardano l’età adolescenziale. Eppure, Ivano De Matteo è riuscito a consegnare al pubblico una storia necessaria con il film Mia, grazie alla lucidità di una regia minimalista e rigorosa, priva di compiaciuto voyeurismo.
Il film è disponibile alla visione su Rai Play.
Di cosa parla il film?


Mia è un’adolescente di 15 anni che vive la sua vita in maniera spensierata, circondata dall’affetto di genitori e amici; tra studio, sport e uscite in compagnia. È un contesto famigliare, ordinario e “normale”. Tuttavia, anche il microcosmo di persone all’apparenza intoccabili, perché fuori da stereotipi eccessivi di altolocata “noia” o da disagi di periferia suburbana, può subire degli scossoni. La giovane infatti vive la sua prima storia d’amore con un ragazzo di vent’anni, Marco. Ma non può esserci amore laddove c’è controllo e possessione.
Uno sguardo agli interpreti.
La prova a cui gli attori sono chiamati risulta credibile e davvero sconcertante nella restituzione di un’attuale verità.
Edoardo Leo rende appieno le sfumature di una personalità in conflitto anzitutto con la crescita della figlia, del qual compito non si crede all’altezza.
Milena Mancini rappresenta la dignità e la forza di una figura femminile a tutto tondo, suo malgrado troppo eroica nella tragedia.
Greta Gasbarri, qui alla sua prima prova attoriale, convince pienamente. Lo sguardo privilegiato sarà quello di Mia; registrerà amaramente la brutalità di un mondo incurante dello spaesamento adolescenziale e incapace di rispondere alla sensibilità contemporanea.
A Riccardo Mandolini è affidato il compito più arduo, bensì necessario. Dare corpo e volto a Marco, uno dei tanti “bravi ragazzi”.
La partecipazione straordinaria di Vinicio Marchioni completa il quadro delle voci presentate. Renderà tragicamente il conflitto dualistico che conseguirà dal confronto delle due figure paterne, annegate nel dolore e nell’affetto verso i propri figli.
La normalità violata dalla violenza


La sceneggiatura, firmata da Ivano De Matteo e Valentina Ferlan, rende plausibile il contesto messo in scena, in un crescendo drammatico delle tensioni a cui i protagonisti sono legati a doppio filo. La storia si presenterà come un percorso lineare, predisposto però verso una parabola discendente di cui non ci si aspetta l’effettiva drammaticità. Il focus è centrato su Mia e i suoi genitori: queste tre identità restituiranno la parabola di un nucleo all’inizio unito nella capacità di dialogo e ascolto, dopo spezzato dallo spettro dell’incomunicabilità e dell’incapacità di reagire insieme.
Il problema della brutalità umana e dell’ipocrisia sociale riassunto in una scena.

Qui sarà difficile trovare le parole per descrivere il senso denunciatorio di una scena estrema, che è necessario evidenziare Se è chiaro l’intento primario della narrazione essa, però, non cede al sensazionalismo spinto di una realtà fin troppo ripetuta.
Si tratta di uno dei frammenti più autentici della storia, in cui si sublima in un attimo la realtà a cui tutti noi siamo abituati dai notiziari e per esperienza; una sequenza forte che condurrà la protagonista verso un baratro di buio, umiliazione e confusione. Ma ciò che dovrà attirare l’attenzione dello spettatore sarà relegato ai margini dell’inquadratura di questa conseguenza: una carrellata sfocata di atteggiamenti noncuranti e di indifferenza. Il regista De Matteo registra in questo modo la fatica a percepire i segnali e i reali effetti che si leggono negli occhi di questi spettatori, tuttavia troppo impegnati a essere protetti dal filtro del proprio smartphone.
Questa sequenza come anche la voce fuori campo che accompagnerà l’implacabile zoom in avanti, in chiusura del film, rendono appieno l’inspiegabile realtà quotidiana, portata in scena da questo affresco di finzione cinematografica.
Conclusione
Mia è una storia che scaturirà molteplici domande, ma non offrirà risposte, giacché risulterebbero parziali e ingiuste. I quesiti sollevati dichiaratamente dalla narrazione risulteranno scomodi ma inevitabili, come tarli nella mente che consumano lo scheletro della società civile. Al di là di grandi falle nella giustizia e di un’incapacità evidente di saper cogliere i segnali, consegna un messaggio forse ovvio ma non scontato. C’è tanto amore in Mia di Ivano De Matteo, ma anche tanta cruda realtà. Non poteva essere altrimenti.