Di cosa parla MaXXXine?

Hollywood, 1985. Maxine Minx, anni dopo i fatti di X – A Sexy Horror Story, vuole staccarsi dal mondo del cinema porno per entrare nel “cinema vero” e soddisfare la sua sfrenata ambizione. In una Hollywood scossa e spaventata dagli omicidi del Night Stalker che causano le proteste di alcuni cittadini sulla deriva morale della città dei sogni, la ragazza dovrà fare i conti con un investigatore privato assunto da un uomo misterioso che la perseguita mentre riesce ad ottenere la parte in un horror di serie B.

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Maxine (Mia Goth) durante un provino in una delle scene iniziali del film.

I media e la loro capacità di creare icone

Ti West chiude la “X Trilogy” e lo fa portandoci nella scintillante e torbida Hollywood di metà anni ’80. Dopo gli Stati Uniti che odoravano di Texas Chainsaw Massacre di X e gli anni ’50 al Technicolor del Mago di Oz di Pearl, MaXXXine ci catapulta nel lato oscuro del cinema e della città dei sogni. Il regista, come nei precedenti film, mette al centro del lungometraggio i media e gli schermi, il loro potere manipolatorio e la capacità di creare star e mostri. O entrambi.

Perché fin dalla prima scena, filtrata attraverso le riprese di una telecamera, una piccola Maxine Minx è incalzata da una misteriosa voce a recitare il mantra: “Non accetterò una vita che non merito”.
Una sequenza che si ricollega con il finale, dove creatore e creatura, vittima e carnefice, si ritrovano e i ruoli si scambiano. Maxine è, infatti, ben lontana dall’essere una vittima. La ragazza, nel corso del film, diventa una belva assetato di fama e disposta ad eliminare chiunque si metta sulla sua strada.

In Maxxxine Ti West ribalta la concezione classica di final girl pura e innocente che si scontra con il male e lo sconfigge. Maxine il male lo abbraccia e, comunque, lo abbatte, entrando così nel firmamento hollywoodiano. E tutto parte da uno schermo.

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Citazioni, omaggi e commistione di generi

I media, gli schermi, ma anche gli omaggi e le citazioni. Ti West, fin dai suoi esordi, è un regista che guarda al cinema horror e thriller anni ’70 e ’80. Ama il vintage e la sua ultima fatica ne è la testimonianza più lampante. Le citazioni si sprecano e, in alcuni casi, sono anche fin troppo evidenti e sfacciate (la casa di Psycho e i guanti neri degli assassini argentiani). Il regista, al contrario dei precedenti film, è meno sottile negli omaggi e nel lavorare sulle icone del genere, eccedendo fin troppo in scene spregiudicate (uno squallido imitatore di Buster Keaton che fa una brutta fine) o sostanzialmente gratuite (lo stallo alla messicana).

Il regista, questa volta, si muove meglio e più agilmente attraverso i generi. Perché MaXXXine è un horror, un thriller, ma anche un poliziesco e sfocia addirittura nel noir. L’ingresso in scena dei poliziotti interpretati da Michelle Monaghan e Bobby Cannavale, seguito da quello di un sempre ottimo Kevin Bacon nei panni di un ambiguo investigatore privato, donano al film freschezza e godibilità.

Menzione d’onore per una Elizabeth Debicki (The Crown), straordinariamente in parte nel ruolo di una regista donna ambiziosa e sicura di se, foriera di consigli per la giovane attrice su come affrontare lo spietato mondo di Hollywood. Debicki instaura da subito un’intesa con Goth, sempre più convincente e ormai consacrata come nuova scream queen. Da segnalare anche un Giancarlo Esposito divertente e divertito nei panni del manager della protagonista.

Maxine e la regista del film horror in cui ha ottenuto la parte Elizabeth Bender (Elizabeth Debicki).

Com’è MaXXXine?

L’ultimo capitolo della trilogia è un viaggio nei meandri più cupi della Hollywood degli anni ’80. Un film che, nonostante alcuni inciampi ed evitabili esagerazioni, conclude più che positivamente il viaggio di Maxine Minx, Mia Goth e Ti West attraverso i decenni del cinema horror.

MaXXXine è fresco, spassoso, coinvolgente e può facilmente appagare la voglia di b-movie degli appassionati del genere horror.