l'isola sbagliata recensione
L’isola sbagliata di Giorgio Magarò
Due colleghi e amici di lunga data decidono di trascorrere l’intero weekend in un’isoletta sperduta del Po, prima di un’importante riunione lavorativa. Giunti sull’isola disabitata e selvaggia, i due smarriscono il loro mezzo di trasporto, un gommone, e rimangono bloccati sul posto, senza possibilità di chiedere aiuto. Passano i giorni e i due uomini, senza cibo e acqua, iniziano a dubitare di poter uscire vivi dal loro tranquillo weekend di paura…
Il regista pavese Giorgio Magarò, attivo nel mondo del cinema fin dai primi anni ’90 ed autore di ben 6 lungometraggi (tra cui lo sci-fi “Space truckin”), si cimenta con un film ambizioso e complesso. È la storia di due uomini, amici da una vita e molto provati dalla vita stessa, sia in campo sentimentale che lavorativo, che si ritrovano improvvisamente in una situazione estrema e pericolosa, del tutto non calcolata. Dovranno fare i conti non solo con le condizioni avverse della natura, ma con l’instabilità del loro rapporto amicale. Le improvvise difficoltà di ogni tipo causate dalla perdita del gommone scateneranno le ansie, i problemi del presente e del passato, il “non detto” tra i due. Il tema portante è quello dell’eterno, e quanto mai irrisolto, confronto tra l’Uomo e la Natura, ma con grossi risvolti psicanalitici ed esistenziali. Sottotraccia, ma nemmeno così tanto, il regista evidenzia nei suoi personaggi il loro rapporto conflittuale e perdente con il mondo femminile.
L'isola sbagliata
L’isola sbagliata di Giorgio Magarò
“L’isola sbagliata” comincia quasi come una commedia vacanziera, ma gradualmente si trasforma in un survival esistenziale, per finire oltre i confini del surreale. A tratti, nel film di Magarò, sembra di assistere ad un lungo sogno. O meglio, un incubo senza fine.
La parte iniziale, che vira più sulla commedia, è quella meno riuscita, per via dei troppi dialoghi, e non propriamente brillanti. Più il film prende la direzione del dramma più diventa convincente: la vicenda comincia ad essere più appassionante, i personaggi risultano sempre più interessanti, la regia appare più coraggiosa ed intrigante.
Paradossalmente, nonostante l’aumento delle sequenze surreali, trasognanti e allucinatorie da un terzo di pellicola in poi, “L’isola sbagliata” diviene più realistico e credibile. Ottima l’idea del manichino di donna trovato sulle rive del Po, metafora del fallimento in campo sentimentale dei due protagonisti. Notevoli e ben fotografate le sequenze notturne, sconvolgenti ed inquietanti al punto giusto. Da segnalare l’ultima sequenza, girata con un drone, che restituisce in modo mirabile tutto ciò che il regista voleva comunicare ai suoi spettatori (anche se, va detto, Magarò abusa un po’ troppo delle riprese coi droni durante il film). Una menzione speciale va ai due attori/mattatori de “L’isola sbagliata”, Luigi Cori e Roberto Corona, perfettamente calati nelle loro (difficili) parti. Il finale, davvero poco conciliatorio, è più che altro un pugno nello stomaco. Chapeau.