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Le ricette della signora Toku vorrebbe essere un film in cui due anime sole provano a crescere insieme per poi tracciare un bilancio malinconico del loro percorso. Nella storia di Naomi Kawase, che ha diretto e sceneggiato la pellicola adattandola dal romanzo An di Durian Sukegawa, l’elemento che fa prima incontrare quelle anime e poi le lega più di quanto non immaginavano è la cucina.
Sentaro (Masatoshi Nagase) e Toku (Kirin Kiki) sono un uomo e una donna ugualmente bizzarri nella loro diversità, che si evince in primo luogo dal loro rapporto antitetico con il cibo. Sentaro gestisce svogliatamente un chiosco di dorayaki, dolce composto di due frittelle riempite con marmellata di fagioli rossi (an). Toku è una donna anziana che vuole lavorare a tutti i costi in quel chiosco e fare ogni giorno quello che ha sempre desiderato: la marmellata di fagioli.

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Se Le ricette della signora Toku vorrebbe ma non riesce, è perché la narrazione non pare abbastanza coinvolgente, nonostante non sia tradita nessun’aspettativa: una storia che tende alla riflessione e lascia l’azione in secondo piano. Fatta eccezione per alcune svolte fondamentali che la portano dall’inizio alla fine, infatti, c’è poco che ci spinga a voler sapere cosa succederà ai personaggi nella scena successiva.
Altre informazioni fondamentali, che non citiamo per non svelare tutta la trama, non trovano un posto preciso nella storia: taciute troppo a lungo o rivelate troppo presto, non sono sorrette da una struttura che dia loro il giusto valore. Tutto sembra prevedibile e non solo col senno di poi, in un racconto che avrebbe funzionato meglio come un medio o addirittura un cortometraggio, più asciutto e scorrevole.

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Ci sono però dei momenti in cui il film genera emozioni genuine: quelli in cui la signora Toku gioisce alla semplice vista di un ciliegio in fiore – aspettare la fine del film, in questo caso, è importante per comprendere profondamente il suo sentimento – o racconta di sé, di come abbia perso il controllo della sua vita e del modo in cui vorrebbe recuperarlo un’ultima volta, affidando la sua piccola e preziosa eredità a qualcuno che sappia renderla immortale.

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