Nascosto tra le classiche commedie natalizie e i film per tutta la famiglia, durante il periodo delle feste sarà presente nelle sale italiane un vero e proprio gioiello proveniente dall’Estremo Oriente, già presentato (e premiato) nel corso dell’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma.

Una dramedy taiwanese sotto l’albero
La mia famiglia a Taipei (Left-Handed Girl) è il primo lungometraggio diretto “in solitaria” dalla regista, produttrice e attrice Taiwanese Shih-Ching Tsou, storica collaboratrice di Sean Baker (con cui ha diretto Take Out e prodotto Tangerine, Un sogno chiamato Florida e Red Rocket). Il freschissimo premio Oscar indossa qui i panni di co-sceneggiatore, co-produttore e montatore, confermando un sodalizio che non delude neanche in questa occasione.
Il film ruota attorno alle peripezie di una famiglia appena trasferitasi nella capitale di Taiwan: Shu-fen (Janel Tsai) gestisce un chiosco al mercato notturno, deve far fronte ai debiti sempre più pressanti e destreggiarsi tra delicatissimi rapporti familiari; I-Ann (Shih-Yuan Ma) è la figlia ventenne, arrabbiata con il mondo e in piena crisi personale; la piccola I-Jing (Nina Ye) di cinque anni, infine, scorrazza sola per le vie della città, appena cosciente dei problemi che affliggono il mondo dei grandi.
Shih-Ching Tsou mescola sapientemente (e, in alcuni sprazzi, furbescamente) toni e registri, dando vita a un’opera di ampio respiro, in cui lo spettatore deve fare i conti con una a dir poco ampia gamma emotiva. Il risultato è una dramedy ispirata e stilosa in cui si piange e si ride in egual misura, in un’armoniosa osmosi tra le dinamiche proprie del racconto di formazione classico e quelle tipiche del racconto cinematografico orientale incentrato sui rapporti familiari.
Le tre protagoniste, pur non offrendo particolari picchi di originalità nella loro caratterizzazione, rappresentano indubbiamente una delle armi vincenti del film: interagiscono con sintonia nelle sequenze condivise e dominano la scena in quelle che le vedono agire individualmente.

Taipei città del cinema
C’è un’ulteriore, fondamentale protagonista, oltre a quelle citate in precedenza: la città di Taipei. Lo strettissimo rapporto tra questa e il cinema è certificato dalle molteplici opere che l’hanno immortalata e sono entrate nel cuore dei cinefili di tutto il mondo, da Goodbye, Dragon Inn di Tsai Ming-liang a Millennium Mambo di Hou Hsiao-hsien, passando per l’intera filmografia di Edward Yang.
La fotogenia cinematografica della capitale taiwanese lascia sempre sbalorditi, e questo caso non fa eccezione. Si ha l’impressione che la città sia stata costruita per lo scopo stesso di essere filmata. Per chi guarda, La mia famiglia a Taipei è infatti un viaggio tra le luci al neon dei quartieri sovraffollati e le insegne colorate dei mercati notturni, estetica tipicamente fine-novecentesca che ha reso iconica la città e le ha conferito un fascino visivo unico nel suo genere.
Lo stile registico adottato (che in tutta evidenza rimanda a quello di Baker e a certe tendenze del cinema indipendente contemporaneo a stelle e strisce) non fa che risaltare il tutto, con lo spettatore incollato a seguire la camera che, scattante e sempre un passo alle spalle, corre per seguire apprensiva le protagoniste nei loro percorsi tra le vie labirintiche della città.
Se, in conclusione, durante o dopo le feste si avesse voglia di vedere qualcosa di diverso dal solito ma comunque ricco di buoni sentimenti e adatto ai palati più eterogenei, La mia famiglia a Taipei è sicuramente il film giusto.
