
Il mistero di Donald C. racconta la vita straordinaria di Donald Crowhurst, un avventuriero britannico che, pur senza molta esperienza di navigazione, decide di cimentarsi nella Golden Globe Race, una competizione proposta dal Sunday Times che invita velisti più o meno esperti a circumnavigare il globo in solitaria. È il 1968 e Donald rimane affascinato dall’impresa marittima già portata a termine da Francis Chichester. Nonostante le sue abilità siano molto lontane da quelle richieste Donald si imbarca con determinazione in questa avventura.
Il film, diretto da James Marsh e ispirato a una storia vera, è il ritratto delicato di un uomo che ha sfidato la natura e, soprattutto, sé stesso. Nel lungometraggio si denota tutta la sensibilità del regista nel saper cogliere il lato più umano di personaggi complicati e fragili allo stesso tempo (basti pensare a La teoria del tutto). Marsh inoltre affianca all’uomo la natura stessa, plasmandola e portandola a diventare un personaggio a tutti gli effetti, che si manifesta con magnificenza e potenza distruttiva.
Come nei grandi classici romanzi d’avventura, l’eroe affronta il mare in uno scontro, impari, che lo porta inevitabilmente a fare i conti non solo con le sue capacità ma soprattutto con i propri limiti umani.
A prestare il volto a Donald è un magistrale Colin Firth che, con lo sguardo sornione e l’impeccabile stile britannico, dimostra ancora una volta il suo grande talento in un prova dalle mille sfumature emotive. Crowhurst, rappresentato come un sognatore entusiasta, va a scontrarsi con una realtà violenta e inaspettata che lo trascina in un vero e proprio naufragio psicologico.
Il regista esplora la complessità del personaggio di Crowhurst non solo nella sua vita pubblica o nella sua “sete” di successo e rivalsa ma anche, e soprattutto, nella sua sfera privata dove gli affetti giocano un ruolo chiave.
