Ron Howard dirige Eden, un dramma sulla sopravvivenza e ricerca di libertà che racconta una storia vera fuori dal comune.
Di cosa parla Eden?
Il dottor Friedrich Ritter (Jude Law) e sua moglie Dora Strauch (Vanessa Kirby) sono due europei idealisti che fuggono dalla Germania nel 1929, rinnegando i valori borghesi che ritengono stiano distruggendo la vera natura dell’umanità, per trasferirsi sull’isola disabitata di Floreana, nell’arcipelago delle Galápagos. Tuttavia la loro cercata solitudine dura ben poco. A loro si uniscono dapprima Margaret (Sydney Sweeney) e Heinz Wittmer (Daniel Brühl), coloni seri e capaci, e successivamente la baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn (Ana de Armas) seguita dai suoi due amanti, un servitore ecuadoriano e un piano per aprire un hotel di lusso sull’isola. Il maltempo, la fauna selvatica e la totale mancanza di comfort e civilizzazione rendono la loro convivenza molto problematica, ma la più grande sfida sarà quella di coesistere con vicini disperati e pronti a tutto pur di affermare se stessi.

Una regia classica per una storia tesa
Ron Howard firma un film molto diverso da quelli a cui ci ha abituati: Eden non è un blockbuster, ma un racconto sottile, quasi tutto giocato sulle dinamiche interne dei personaggi. La regia è elegante, mai invadente, e lascia spazio agli attori e ai silenzi. Non succede mai davvero qualcosa di clamoroso, ma la tensione è sempre lì, che monta sotto la pelle. L’isola è un paradiso naturale che però non riesce a contenere le contraddizioni umane.
La scrittura è più cupa che retorica, e riesce a far emergere bene il senso di disagio e di fallimento collettivo. Le prove attoriali della Sweeney e De Armas sono incredibili, mentre la Kirby è bravissima nel mostrare fragilità e determinazione. Jude Law sorprende con un personaggio affascinante ma sempre più instabile, un uomo che vuole salvare il mondo e finisce per perdere sé stesso. Non c’è mai una vera esplosione, ma ogni scena aggiunge un pezzo a un puzzle sempre più inquieto.

Un’isola, tante crepe
Eden è un film sulle persone o sull’impossibilità, forse, di costruire qualcosa di nuovo senza portarsi dietro tutti i vecchi errori. I conflitti tra i personaggi sembrano piccoli, ma raccontano molto di come funziona (o non funziona) la convivenza. C’è chi vuole il controllo, chi cerca uno scopo, chi scappa da qualcosa. E mentre le relazioni si fanno sempre più tese, ci si rende conto che l’isola non è mai stata un rifugio, ma solo uno specchio amplificato di quello che siamo.
Le atmosfere ricordano una versione adulta de Il signore delle mosche, più psicologica che fisica. Tutto resta sotto traccia, ma si avverte forte la sensazione che da un momento all’altro qualcosa possa rompersi. E quando si rompe, fa male. Fa male perché è vero, perché è umano.

Com’è il film?
Eden è un film lento, ma che ti resta addosso. Non urla mai, ma sa come farti riflettere, e anche un po’ vibrare. È uno di quei film che ti lasciano un senso di disagio difficile da scrollarsi di dosso, ma che proprio per questo riescono a colpire nel segno. Non ha la pretesa di dare risposte, ma ti piazza davanti a un bel po’ di domande scomode. E alla fine, anche se non tutto fila perfettamente, ti ritrovi a pensarci su. Non è un film per tutti, ma se ti piacciono le storie che scavano e non si fermano in superficie, Eden è decisamente un viaggio che vale la pena fare.