Due coppie, un appartamento e un grande malinteso. Il ritorno di Sergio Rubini sul grande schermo è segnato dall’incalzante Dobbiamo Parlare, brillante commedia degli equivoci dal ritmo frenetico e dall’effetto detonante, come quello di una miccia che fa esplodere l’ordigno di un magnifico ménage lessicale tratto da un copione degno di una vivace pièce teatrale.
Voce del verbo “parlare”. Tempi e modi sono in continuo mutamento, si adattano allo spazio e virano a seconda delle necessità dettate dagli attori, seguendo un twist narrativo che capovolge le molteplici dinamiche e ne ribalta le convenzioni. Linda e Vanni vivono da 10 anni in un attico nel cuore di Roma. Entrambi sono scrittori e condividono una smodata passione per l’arte, in particolare per la composizione creativa. Lui è un affermato romanziere alla ricerca dell’ispirazione giusta per svoltare la sua carriera con un nuovo bestseller. Lei, una giovane e promettente penna che produce scritti e di professione fa la ghostwriter, precisamente per il suo compagno. Tra le frequentazioni più assidue, i due amano trascorrere il tempo (o così pare) in compagnia dei loro migliori amici Costanza ed Alfredo, una coppia di medici incalliti, entrambi eclettici, boriosi e tremendamente classisti. Il loro matrimonio è ai minimi storici, il rapporto coniugale sull’orlo di una crisi di nervi che, casualmente, decide di scoppiare nel giorno in cui Vanni e Linda hanno un impegno improrogabile, un vernissage ultra esclusivo con tanto di cena al seguito in compagnia di un editore amico di Linda. In preda ad una crisi di panico, Costanza piomba a casa degli amici, confessando loro che il marito, conosciuto ai più con l’appellativo di Prof., la tradisce con l’amante.
Ma quella che si preannunciava una tranquilla serata mondana, occasione ideale per evadere dalla funesta magione condensata di pensieri e di concetti troppo sterili per finire sulla bozza del libro di Vanni, si trasforma improvvisamente in un rendez-vous improbabile in cui le certezze diventano insicurezze e il salotto di casa un palcoscenico dove il confronto diventa scontro. Le mura domestiche si trasformano così in un ring colloquiale all’interno del quale i quattro personaggi rimangono aggrappati alle corde per una lunga ed estenuante notte di misunderstanding in cui la verità diventa una scomoda antagonista da dover affrontare.
La parabola contestuale inscenata da Sergio Rubini è un concentrato di raffinata scrittura e sublime imprinting tragicomico degli attori, da Isabella Ragonese a Maria Pia Calzone, da Fabrizio Bentivoglio (istrionico e in stato di grazia) allo stesso Rubini, artefici di una prova corale di estenuante recitazione e di forzature caricaturali necessarie a creare un’equilibrata e indispensabile aura di retorica enfatica. Una commedia naif e stratificata dagli accenti francesi che attinge a piene mani dalla tradizione degli spettacoli boulevardier di qualità e da pellicole eclettiche e sofisticate quali La cena dei cretini (di Francis Veber, 1998) e Cena tra Amici (di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, 2012), rielaborando la materia in salsa tricolore, attraverso una regia essenziale e funzionale alla storia, e proponendosi come versione italiana di Carnage di Roman Polanski.
Tra contrasti, litigi, omissioni di colpa e confessioni, il film ha la forza di trascinare lo spettatore in un vortice di digressioni ludiche, scambi di battute al vetriolo, automatismi narrativi e rovesciamenti repentini di ruolo in cui amori e amicizie vengono messi in discussione e un semplice dialogo può alimentare un dibattito inarrestabile. E alla fine, che siano taciuti o rivelati, i dilemmi coniugali vengono inevitabilmente a galla nello stesso modo in cui un pesce rosso cerca di fuggire da un’ampolla piena d’acqua per sconfiggere la solitudine e trovare la sua anima gemella. Ma in fondo cos’è peggio di una relazione protratta nell’ombra del silenzio che una vita da single urlata al mondo in totale libertà? La risposta è tutta nel film.