COME UN GATTO IN TANGENZIALE, la recensione del film di Riccardo Milani

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Come un gatto in tangenziale recensione
Come un gatto in tangenziale (2017) di Riccardo Milani
Giovanni: esperto consulente del Parlamento Europeo. Esponente della Roma-bene, colto, separato, con una vita agiata. E con una vispa figlia di tredici anni, innamorata.
Monica: ex cassiera. Abitante del malfamato quartiere romano di Bastoggi, con le due sorellastre cleptomani a carico e un marito (Claudio Amendola) in carcere per avere asportato la milza a un malcapitato (no, non faceva il chirurgo…). E con un figlio di tredici anni, innamorato.
Lui, che cerca di risolvere il problema dell’integrazione e delle periferie abbandonate a loro stesse, morirà di paura quando verrà a contatto con la realtà di quelle periferie, ben lontana dalle aule parlamentari e dagli uffici nei grattacieli.
Lei, che deve fare i conti con la vita povera e ai margini della società in cui è cresciuta, odia per natura chiunque abbia a che fare con quella politica che non ha mai mosso un dito per aiutarla.
Avete già capito dove andrà a finire il film?
Esatto, avete ragione: Giovanni (Antonio Albanese) e Monica (Paola Cortellesi) dovranno fare i conti con i rispettivi mostri e capire cosa possa andare bene per i loro figli.
Come un gatto in tangenziale
Come un gatto in tangenziale (2017) di Riccardo Milani

Coppia che non scoppia

Se fosse così semplice si potrebbe non parlare nemmeno più di Come un gatto in tangenziale, ma per fortuna c’è di più. Certo, la storia segue tutti i crismi del già visto e il finale è facilmente intuibile da inizio film. In questo senso non ci sono certo sorprese.
Il regista Riccardo Milani riesce, tuttavia, a tenere alto il ritmo e a capire che per farlo serve dare spazio e respiro ai due protagonisti. I quali, sia per esperienza che per evidente divertimento, mettono in scena un’alchimia invidiabile.
Anche nelle gag che parrebbero più scontate (la differenza di linguaggio che porta a continui fraintendimenti, gli incontri con i rispettivi consorti…) la coppia di comici se la cava egregiamente riempiendo lo schermo e strappando risate gustose senza mai cadere nella ripetitività. La cosa più sorprendente è l’effettiva assenza di tempi morti.
Anche quando nella parte centrale ci troviamo di fronte a un intermezzo più serio, che arresta di fatto la storia, il film invece non si ferma. Non è così facile e di solito è proprio dove commedie simili a Come Un Gatto In Tangenziale falliscono.
Ogni tanto qualche esagerazione c’è, specie nella caratterizzazione dei protagonisti, ma per fortuna non è mai così pesante da fare distrarre lo spettatore dal film.
Come un gatto in tangenziale
La “famiglia allargata” di Come Un Gatto In Tangenziale

Qualche strato in più

C’è anche qualche attacco al buonismo e all’ipocrisia di chi predica bene senza aver mai razzolato.
L’ex moglie Luce (Sonia Bergamasco), ritiratasi in Francia a coltivare lavanda e la cui “discesa agli inferi” nel quartiere di Bastoggi dà vita a una scena che strappa ben più di una risata, ne è l’esempio migliore. E, sempre senza mai strafare e cadere nella predica, Milani non lesina una stoccata anche a chi sta dall’altra parte.
Certo, spesso chi vive in situazioni al limite è travolto dalla vita estrema dei bassifondi. Altrettanto spesso, però, c’è semplicemente chi si fa trascinare e si accontenta, senza fare nemmeno quello che potrebbe per migliorare la propria situazione.
Con questo equilibrio la commedia riesce a essere gustosa e a coniugare le anime delle storie che porta avanti.
Perché anche se Monica ci informa che certe storie, come quella dei due tredicenni, durano come un gatto in tangenziale, quelle stesse storie possono contenerne altre che invece hanno il coraggio di andare un po’ più a fondo.
Come Un Gatto In Tangenziale resta un piacevole film da godersi durante le feste, con una comicità che evita di cadere nel becero.
E che se anche non ha paura di sconfinare in altri territori, rimane appunto una commedia portata avanti da due veterani della risata, Albanese e Cortellesi, che dimostrano di saper scolpire dei personaggi sinceramente umani e quotidiani.
E, forse, è proprio il motivo per cui ci fanno ridere così tanto.