CLIMAX, la recensione del film di Gaspar Noé

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Sofia Boutella e tutti i protagonisti di Climax (2018)
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Sofia Boutella e tutti i protagonisti di Climax (2018)
Una figura cammina incespicando nella neve, la osserviamo dall’alto. Cade a terra e… titoli di coda.
Inizia così Climax, di Gaspar Noè: con i titoli di coda di uno dei tanti film all’interno del film. Ci sono almeno tre sequenze che possono essere definite conclusive (vediamo le scritte scorrere sullo schermo come se le luci in sala dovessero accendersi a breve) e altrettanti inizi. A ognuno di questi momenti corrisponde uno switch tonale drastico. È l’ennesimo colpo di genio, per qualcuno, o l’ennesima provocazione, per altri, del regista argentino. Il cinema di Noè costituisce uno di quei pochi casi in cui è consigliabile entrare in sala preparati per quello che si vedrà. Quando la narrazione si fonde con la sperimentazione allucinata, con la videoarte, la politica e il gusto estetico dell’immagine, non si può fare altro che abbandonarsi al flusso costante di sensazioni senza opporre resistenza. Arrendersi è l’unico modo per sopravvivere all’esperienza.
In Climax un gruppo di ballerini si ritrova in un edificio per le ultime prove prima dell’esibizione: la performance è pazzesca, tutto va alla grande. Rilassatisi dopo lo sforzo fisico i 20 giovani si dedicano a una festa a base di sangria, balli e spensieratezza. All’improvviso l’atmosfera muta radicalmente, in preda ad uno stato di ebbrezza i ballerini perdono il controllo del loro corpo. È l’inizio di una carneficina: c’è chi, per errore, si avvicina al fuoco e brucia senza alcun soccorso. Ci sono tagli, donne prese a calci, lembi di pelle scorticati con le unghie, la sessualità esplode in tutti i suoi aspetti: dalla dolcezza alla morbosità fino all’ossessione violenta. 
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Sofia Boutella in Climax (2018)
Il cinema di Gaspar Noè va fino in fondo, non concede sconti. È un rito di costruzione di emozioni estreme, spesso negative, che non ha paura di respingere il pubblico. La fatica che prova lo spettatore che guarda è specchio dell’angoscia dei protagonisti. La nausea dei movimenti insistiti, delle inquadrature impossibili, è il cinema che prende a pugni la platea a cui si rivolge.
Chi l’ha detto che un film deve essere un’esperienza piacevole? Chi ha legato per primo il termine intrattenimento alla settima arte? È questa la forza di Noè: un provocatore, che tale rimane e come tale non va preso, ma che è profondamente necessario nell’epoca attuale.
In Climax abbondano le analogie con Suspiria di Dario Argento di cui, potremmo dire, il film è quasi un remake (la versione “per adulti” rispetto alla rivisitazione più intensa e poetica di Luca Guadagnino). Ecco quindi che quello che potremmo definire un rito di panico, nella lunga sequenza finale dai toni horror, apre l’opera a una lettura che vada oltre la superficie. È qui forse la principale debolezza: laddove vi è una messa in scena sconvolgente, ciò che viene comunicato è distante da una linea di pensiero sull’arte che, dai greci ad oggi, rimane pressoché immutata. La danza è al centro di ogni rito, la perdita di controllo del proprio corpo e della propria anima lascia uscire la vera essenza dei personaggi. Nell’apertura del film ogni singolo carattere si racconta nelle proprie ambizioni e nei desideri. Prima degli ultimi titoli di coda le persone rinchiuse in sala prove avranno mostrato il vero lato di sé.
È un Dio che fa questo? O è proprio l’assenza di un creatore a fare deflagrare tutto? Oppure, la soluzione è proprio la più semplice, ovvero quella che viene fornita dal film stesso?
Climax si vende come un’opera per pochi ma forse è vero l’opposto. Perché ciò che restituisce è qualcosa di totalmente umano, che tutti abbiamo provato nella vita. Climax è contraddizione, disgusto, fatica, orrore, trasgressione. Fa venire voglia di gridare allo schermo come fanno i personaggi, fa venire voglia di disprezzarlo, di scappare e, addirittura, di sconsigliarlo. E questo è il vero territorio inesplorato nei sapori delle emozioni cinematografiche della contemporaneità.