CAPTIVE STATE, la recensione del film di Rupert Wyatt

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Captive State
Captive State (2019)
captive state
John Goodman in Captive State (2019)
Captive State parte da un assunto originale, totalmente diverso da quanto siamo stati abituati a vedere nei film di fantascienza: cosa succederebbe se gli alieni, dopo aver invaso e distrutto parte della Terra, rimanessero sul nostro pianeta, nascosti nell’ombra, e fossero considerati la principale forza legislativa mondiale, portatrice di una società statisticamente più sicura? Il concetto è affascinante e solleva sicuramente una serie di domande intriganti a cui il film risponde, in parte, con abilità.
Captive State è un film avvincente, con un occhio attento al racconto e supportato da una messa in scena  una trama originale e mai banale.
Lo sceneggiatore e regista Rupert Wyatt focalizza tutta l’azione a Chicago dove un nuovo ordine mondiale colpisce una città già alle prese con crimine e disparità economica. Incaricato di cancellare i dati dai dispositivi digitali che sono stati messi fuori legge, Gabriel (Ashton Sanders di Moonlight) deve fare i conti con la morte del sovversivo fratello Rafe (Jonathan Majors) e con la nascita di una nuova organizzazione di ribelli chiamata la Fenice. L’uomo è inoltre legato a Mulligan (John Goodman), un poliziotto locale convinto che un’altra rivoluzione clandestina sia in atto, ma che, al tempo stesso, è protettivo e diffidente nei confronti del ragazzo.
Captive State
Captive State (2019)
Dal punto di vista estetico il film di Rupert Wyatt è cupo e claustrofobico. La sua struttura narrativa, dinamica e compatta, riesce a convincere completamente lo spettatore. Il ritmo fatica a mantenersi constante rallentando nella parte centrale per poi riprendere l’intreccio alternando momenti ansiogeni a picchi d’azione.
Captive State dimostra di avere coraggio poiché pone l’accento su un’azione inserita in una trama a tratti impegnativa e pesante, con il rischio di deludere le aspettative di un pubblico abituato al genere. In alcuni momenti il lungometraggio appare confuso e caotico: lo script non risponde in modo esaustivo a tutte le domande che si pone. Lo stesso John Goodman sembra essere ostacolato da una sceneggiatura fatta di intrighi e cambi di rotta che ci preparano al colpo di scena finale che però resta sospeso, quasi dubbioso, congelato.
Captive State è costruito in modo imperfetto ma ha il merito di cercare di fare qualcosa di diverso e nuovo. Per questo motivo, in rapporto ai tanti film di fantascienza degli ultimi anni, conserva una certa dignità.