
Stiamo vivendo un momento molto delicato. Ora più che mai nella nostra storia stiamo mettendo in crisi la vita sul pianeta Terra. L’ambiente risente profondamente delle nostre modificazioni e del nostro inquinamento. La temperatura sale pericolosamente e gli eventi climatici, come gli uragani, si fanno più devastanti. Gli oceani sono ricolmi di plastica, che entra nella catena alimentare e ingeriamo col cibo.
È un brutto momento, diciamola tutta, per cui ben venga chi vuole mandare un messaggio chiaro per svegliare le coscienze. Tuttavia…
Tuttavia il come si debba mandare questo messaggio è importante.
E qui spuntano i problemi di un’operazione altrimenti interessante come il Progetto Antropocene, di cui fa parte il documentario diretto da Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier e Edward Burtynsky.
TEMPI MODERNI?
Senza badare ai contenuti, il primo problema di Antropocene – L’Epoca Umana è di natura cinematografica. I tempi sono, purtroppo, dilatati al massimo: c’è un limite alla lenta sequela di immagini che si possono sopportare senza addormentarsi…
La bellezza di ciò che la telecamera cattura non è in discussione. Che il soggetto sia una meravigliosa scogliera o un’orrenda discarica grande quanto una città è sempre inquadrato al meglio, per creare una composizione di immagini che dovrebbe essere mozzafiato.

Il problema è la sensazione di assistere al noioso slideshow di diapositive delle vacanze di qualche amico poco interessante. Il fil rouge che lega la gran quantità di temi esposti si perde. La voce narrante della pur sempre bravissima Alicia Vikander (in italiano è di Alba Rohrwacher) è a tratti sonnolenta, quasi a voler creare un pesante pathos che purtroppo, nonostante l’argomento, non si avverte se non a tratti (curiosamente, gli unici e distinti due momenti in cui davvero il film tocca in profondità sono entrambi legati agli elefanti e al loro bracconaggio).
EPOCA…
Ma il vero problema di Antropocene – L’Epoca Umana è insito già nel titolo: “epoca”.
Il termine Antropocene, secondo il documentario, dovrebbe essere adottato dalla comunità scientifica per indicare il periodo di tempo in cui l’uomo ha lasciato (e lascia) le sue tracce nell’ambiente, nel suolo, nelle rocce e nei fondali marini. L’inquinamento e le modificazioni del suolo e del sottosuolo, dice il film, unite all’estinzione di massa che stiamo causando, identificano nel record geologico un unicum. Questo lasso di tempo, per ora qualche centinaio di anni, presenterebbe cambiamenti così drastici e profondi da poter essere considerato un’epoca a sé, diversa dall’Olocene (l’epoca geologica in cui stiamo vivendo), che secondo gli autori sarebbe ormai finita.

L’intento è più che nobile: una provocazione per far capire quale gigantesco impatto abbiano le nostre azioni sul mondo e sulla vita. Ma da qui a prendere troppo sul serio l’iniziativa e spacciare per “fondata scientificamente”, appunto, una provocazione ne dovrebbe passare.
Perché quello che si fa, quando si conclude un documentario dicendo che gli scienziati del Progetto Antropocene continueranno a costruire [sic!] le prove in sostegno al riconoscimento della cosiddetta “epoca umana”, è in realtà pessima divulgazione scientifica.
Non solo perché scientificamente non ha alcun senso battezzare un’epoca secondo questi criteri, ma anche perché ciò che rende funzionale il metodo scientifico nulla ha a che vedere con quello che dichiara il film.
… O EVENTO?
Quello che stiamo vivendo è semmai un evento, di sicuro non un’epoca. Questo perché un’epoca è qualcosa di temporalmente vasto, che può durare da qualche decina di migliaia a qualche decina di milioni di anni. È bene ricordare quindi che, per quanto a noi piaccia porci sempre al centro di tutto, abbiamo inventato la scrittura solo pochi millenni fa e, per quanto distruttivo possa essere il nostro impatto, ciò che resterà nelle rocce sarà un rapido cambiamento da uno strato all’altro.
La famosa estinzione dei dinosauri, avvenuta per varie cause tra cui il famoso meteorite schiantatosi in centro America, è durata migliaia di anni. Eppure, ciò che ritroviamo è un singolo strato al di sotto del quale si trovano scheletri di Tyrannosaurus e compagnia, mentre al di sopra non se ne trovano più.
Perciò a quell’estinzione, come a tutte quelle grandi e piccole che costellano la storia della vita (lunga più di tre miliardi di anni), ci si riferisce come a un evento. Geologicamente, un istante tra un’epoca e la successiva.
