Steven Spielberg, Tom Hanks, Meryl Streep: nove premi Oscar per tre nomi leggendari che per la prima volta lavorano insieme.
Denominatore comune: The Post, basato su cronache non molto lontane nel tempo che riecheggiano ancora violentemente nelle orecchie del XXI secolo.

SONO SOLO “FAKE NEWS”

Dopo un rapido e incalzante prologo tra il Vietnam e gli USA, The Post si getta a capofitto nella vicenda principale da cui trae ispirazione: alla fine degli anni ’60 una grossa quantità di documenti segretati viene trafugata dagli archivi del governo americano. Si tratta di un corposo studio commissionato dal Segretario della Difesa Robert McNamara su tutto ciò che riguarda la guerra nel Vietnam. Studio ovviamente non generoso nei confronti dell’amministrazione statunitense, rea di aver intrapreso e poi continuato, con ogni presidente fin dai primi anni ’50, una guerra a scopi politici senza nessuna possibilità di vittoria o di risoluzione.

Il New York Times, colosso del giornalismo, inizia una serie di reportage in cui espone i fatti contenuti nello studio. I “poteri forti”, nella figura di un Nixon inquadrato da lontano e di spalle come un cattivo di James Bond, impediscono al quotidiano di continuare a pubblicare tramite un’ingiunzione, trascinandolo nei tribunali.
Saranno Ben Bradlee (Hanks) e Kay Graham (Streep), rispettivamente l’arrembante direttore e l’insicura proprietaria di un Washington Post in difficoltà finanziaria, a decidere se affrontare la furia del governo americano e la possibilità del carcere pubblicando il dossier dei “Pentagon Papers“.

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Tom Hanks e Meryl Streep in un’immagine di The Post

PERFEZIONE VISIVA

The Post è un film che Spielberg poggia saggiamente sulle spalle dei due protagonisti, costruendo loro intorno un ambiente ideale grazie a un eccellente cast di contorno (in primis Bob Odenkirk) e collaboratori di lunga data.
Superba la fotografia del fidatissimo Janusz Kaminski, un vero maestro della disciplina e della cinematografia.
John Williams sottolinea sommessamente le immagini con la sua musica sempre puntuale. Riprendendo sonorità che emergevano nelle sue colonne sonore più irruente negli anni ’90, soprattutto nel prologo, il compositore crea l’atmosfera ideale che incornicia l’intera narrazione.
La ricostruzione scenica è impeccabile e la scelta di ricreare riprese tipiche del cinema di quegli anni esalta tutta la messinscena.

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Tom Hanks è Ben Bradlee in The Post

Tom Hanks, ancora una volta monumentale, sparisce dentro il suo personaggio, estremizzandosi senza mai andare sopra le righe e guidando il film. La sua storyline è la vera miccia del candelotto: fa scintille fin da subito ed è la parte più illuminante e coinvolgente da seguire. La divina Meryl Streep ha un ruolo diverso, più ambiguo: la sua sottotrama, per metà film tra riunioni e discorsi economici, inizialmente rischia quasi di annoiare. È tuttavia fondamentale per far capire quanto questa donna si senta a disagio e impreparata in un mondo arrogantemente maschile. Sarà il suo l’arco narrativo portante della pellicola, arrivando a un ultimo atto da cardiopalma, in un crescendo inarrestabile in cui i due personaggi arrivano a scontrarsi, e culminando in quella “passeggiata silenziosa” tra la folla che non può lasciare indifferenti.

The Post è da vedere assolutamente e da vivere fino in fondo. I risvolti finali del film sono quelli maggiormente legati alle cronache dei giorni nostri.
L’ultima fatica di Spielberg racconta il giornalismo e la ricerca della verità: una storia che emerge dal passato ma riesce, con grande intelligenza e sensibilità, a leggere il presente.
E, al di là di tutto il contenuto morale, The Post è un film da ammirare in ogni sequenza, in ogni inquadratura. In ogni singolo istante in cui la macchina da presa riprende gli attori e coglie impercettibili sfumature negli sguardi. Piccoli dettagli che fanno la differenza. Perché come diceva Leonardo Da Vinci, “i dettagli fanno la perfezione e la perfezione non è un dettaglio“. 

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