Venezia 74: OUR SOULS AT NIGHT, la recensione del film con Robert Redford e Jane Fonda

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our souls at night
Robert Redford e Jane Fonda in un'immagine di Our Souls at Night
Our Souls at Night
Robert Redford e Jane Fonda in un’immagine di Our Souls at Night
C’erano una volta le bed time stories. I racconti prima di dormire, che cullavano le notti dei bambini di tutto il mondo. Con l’ingresso in una società ipermediata e stimolata questa pratica è, forse, in leggero declino. Questo discorso non vale per Jane Fonda e Robert Redford che interpretano, in Our Souls at Night, due anziani soli.
Una notte, il momento più difficile della giornata, Addie (Fonda) decide di invitare Louis (Redford) a letto da lei. Non per amore, non per sesso, solo per passare del tempo, quello più difficile, assieme contro la solitudine. La notte è per i due amici il momento delle storie, dei racconti di vita non che dei peccati del passato.
L’evoluzione del rapporto tra i due è, se non scontata, prevedibile ma allo stesso tempo è ciò che regge il film. In questa commedia romantica prodotta da Netflix, e da cui viene ereditato un certo “gusto televisivo”, la famiglia e i rapporti interpersonali sono al centro degli incontri notturni tra anime.
È inevitabile però che la riuscita del lungometraggio sia legata alla relazione tra i due protagonisti. Louis e Addie sono però troppo legati a ciò che sono stati Redford e Fonda, troppo riconoscibili e caricaturali per essere veramente credibili. Our Souls at Night è un film sul passato che sembra nato da un’idea lontana dal presente. Tutto ciò che è moderno, dal cellulare alla gestione della famiglia, viene stigmatizzato e mostrato nel peggiore dei modi, solo per approdare ad un “si stava meglio quando si stava peggio” che non aiuta la pellicola ad essere indimenticabile.
Come troppo spesso emerge dalle produzioni Netflix, anche Our Souls at Night, diretto da Ritesh Batra, si attesta ad una sufficienza che non va oltre la piacevolezza della visione. Non ci sono brividi né sorprese.
L’estetica del film è quanto mai derivativa dalle atmosfere “indie” del Sundance (di cui Redford è ideatore, sarà un caso?). Non serve però una buona canzone al momento giusto o una buona inquadratura, per ridare freschezza. Le battute e la sceneggiatura sembrano costruite all’eccesso, tanto da risultare artificiali, soprattutto nei primi minuti.
Presentato fuori concorso alla 74. Mostra del Cinema di Venezia.

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