“Il cinema inizia con D.W Griffith e finisce con Abbas Kiarostami”.
Con queste parole Jean-Luc Godard celebrava e omaggiava il talento, la passione e sensibilità di uno dei più grandi esponenti del cinema d’essai contemporaneo.
A poche ore dalla scomparsa del ‘profeta incompreso’ della New Hollywood, Michael Cimino, il mondo piange l’immenso Abbas Kiarostami (aveva 76 anni), regista iraniano che ha segnato profondamente le correnti, lo stile e le idee di un’intera generazione di cineasti, influenzata dal modello universale di cinema da lui promosso e in grado di brillare oltre i confini di un paese piegato dalla censura e dalle interminabili contraddizioni.
Nato a Teheran il 22 giugno 1940, Kiarostami è stato uno dei primi autori a cambiare con coraggio e determinazione il modo di concepire l’arte cinematografica in Iran, a esplorare e innovare gli orizzonti narrativi attraverso una poetica illuminante e raffinata, fine e spensierata, che parla di emozioni e si rivolge al pubblico in totale naturalezza e semplicità.
Perché Kiarostami è stato un viaggiatore itinerante, un romanziere moderno e progressista che ha dato voce al proprio “io” ed è riuscito a fotografare la realtà, trasformandola in allegoria.
La vocazione nell’osservazione, la grazia nel tratteggiare senza troppe indulgenze parabole esistenziali, la capacità di oscillare tra la vita e la morte con la una leggerezza d’altri tempi: sono questi i principi essenziali del vademecum definitivo di un filmmaker che ha riposto nelle mani del pubblico il suo operato e immortalato in pellicola i desideri, le angosce e le visioni più intime della propria anima. Kiarostami viveva l’abnegazione per i formalismi come libertà di espressione assoluta, la consapevolezza di lasciarsi trasportare dal vento dei suoi istinti per raccontare favole gentili e formative, intrise di fragilità e di un significato profondissimo.
E così che i suoi lungometraggi sono diventati dipinti struggenti, odi immense e elevate che gli hanno permesso di conquistare la stima di numerosi registi di fama internazionale del calibro di Martin Scorsese, Nanni Moretti e Godard.
C’è un momento in particolare che descrive al meglio la cifra eloquente di Kiarostami: è nel finale di Dov’è la Casa del Mio Amico?, nel frangente in cui viene aperto il tanto adulato quaderno, che si materializza la lezione del cineasta, capace con il suo sguardo acuto di documentare le situazioni e dialogare metaforicamente con lo spettatore in maniera chiara, limpida e trasparente. Un marchio di fabbrica che contraddistinguerà le opere successive, da Close Up a Sotto gli Ulivi, dal film vincitore della Palma d’oro a CannesIl Sapore della ciliegia al dramma di respiro internazionale Copia Conforme, fino ad arrivare a Qualcuno da Amare. Qualcuno da amare, o per alcuni da scoprire, come Abbas Kiarostami, sommo innovatore del cinema iraniano e oratore autentico della settima arte.
Addio Maestro…
Andrea Rurali
Articolo pubblicato anche su MaSeDomani.com
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