La potenza dirompente del primo Smetto quando voglio partiva dall’originalità dell’idea: prendere un gruppo di ricercatori, poco valorizzati dalla società ma intelligentissimi, e usare le loro capacità in modo paradossale. Chimici, sociologi, storici, matematici e latinisti uniscono le loro menti per creare un business inarrestabile basato sulla produzione di smart drugs, droghe la cui formula non è ancora stata dichiarata illegale. Un mix tra Una notte da leoni e Breaking Bad, il primo film riusciva a coniugare uno stile innovativo con un’idea comica molto forte. Missione compiuta.
Girare un seguito era una mossa economicamente scontata, ma assai complessa dal punto di vista della realizzazione. L’elemento umoristico portante, il contrasto tra l’inadeguatezza al crimine dei ricercatori e la follia a cui li porta il loro incontro non era replicabile. È quindi apprezzabile la scelta del talentuoso regista Sydney Sibilia di virare il tono della pellicola allontanandosi dalla commedia e approdando all’action.
La comicità, così come la paura prodotta dagli horror, è quanto mai soggettiva: dipende dai gusti, dalle precedenti esperienze, dalla capacità di cogliere i riferimenti ironici dello spettatore. Per questo motivo è difficile racchiuderla sotto un giudizio critico oggettivo. Per chi scrive, però, Smetto Quando Voglio: Masterclassspiazza sul piano umoristico. Il film è di gran lunga meno divertente del suo predecessore. Manca l’originalità delle situazioni, la sorpresa dei momenti grotteschi, le trovate iperboliche. Eppure si fermano qui le aspettative non colmate da questo secondo capitolo. Resta tempo per elencare i moltissimi pregi di cui, il primo, è che sicuramente Masterclass ha stile. Sibilia dirige con un senso del ritmo invidiabile, forse il migliore all’interno del panorama italiano (grazie anche alla presenza di Matteo Rovere alla produzione). L’andamento del lungometraggio è trascinante sin dall’inizio, come se stessimo assistendo ad un italianissimo Avengers. Ogni personaggio ha il suo momento memorabile, la formazione si assembla lentamente, un passo alla volta, proprio come nel film di Joss Whedon, fino alla chiamata all’azione al rallentatore (che sembra presa da Guardiani della Galassia).
C’è un inseguimento, un combattimento sul tetto di un treno, sequenze esplosive di grande impatto che elevano il valore dell’opera. C’è un sentimento, in questo secondo capitolo, di amore verso il cinema e le storie epiche di grande respiro. Alla fine di Masterclass, conclusosi con un cliffhanger in attesa del successivo episodio “Ad Honorem”, è impossibile non restare coinvolti in un turbinio emotivo lontano da quello a cui ci ha abituati il cinema italico. Esaltazione, adrenalina, voglia di sapere come andrà a finire la storia, sembrano attributi di un kolossal americano ma che, invece, sono propri di questo Smetto Quando Voglio.
Masterclass soffre dunque il suo essere un capitolo intermedio ma vince sulla forma e la tecnica, sulla capacità di mantenere un andamento incalzante ed appassionante. La fotografia continua ad essere splendida, gli attori sono ormai riusciti a fare propri i personaggi e a renderli iconici. La squadra viene rimpastata con alcune new entry che comportano un sacrificio, in termini di minutaggio, di alcuni personaggi già apprezzati (come ad esempio i latinisti). Debolezza che viene compensata da un rigore nella costruzione narrativa e da una solidità della messa in scena sorprendenti. La critica alla realtà sociale distorta è ancora presente, si fa più sottile, ma non meno efficace. Questa volta viene presa di mira la burocrazia, spada di Damocle presente sulle spalle dei personaggi e vero motore della vicenda. Il sistema giudiziario viene mostrato con piglio realistico ma, allo stesso tempo, leggermente distorto dalla lente snaturata della cinepresa. Il risultato evita la parodia in stile barzelletta, ma integra l’assurdo nell’azione, plasmando così un mondo credibile nella sua assurdità e, per questo, efficace specchio distorto delle assurdità contemporanee. Smetto Quando Voglio: Masterclass sfugge quindi a qualsiasi definizione: un film entusiasmante e sorprendente se considerato come opera autonoma.
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