Kubo
Kubo e la Spada Magica
Se avete la possibilità di vedere Kubo e la Spada Magica in lingua originale, non dovreste perderla: le voci dei protagonisti, interpretati da attori del calibro di Matthew McConaughey, Ralph Fiennes e Charlize Theron, sono un qualcosa di totalmente immersivo, tridimensionale e stratificato. La Laika ha fatto un lavoro eccezionale di caratterizzazione dei personaggi attraverso le movenze in stop-motion e la recitazione. La storia del protagonista Kubo è infatti un racconto universale, imperniato sul retaggio di miti e leggende antiche e riportato dalla regia di Travis Knight su un piano molto umano e realistico. Non voglio essere frainteso: la componente fantasy è fortissima, le immagini e le situazioni sono assai lontane dalla plausibilità. Quello che è sconvolgente è invece il neorealismo delle emozioni: una verità dei sentimenti, una facilità comunicativa, che non siamo abituati a trovare al di fuori della produzione Pixar o del cinema del maestro Hayao Miyazaki.
Kubo è un giovane ragazzo, guerriero in potenza, che vive con la madre e si prende cura di lei, poiché colpita da un incantesimo che la costringe a vivere ogni giorno in uno stato di catatonia. Kubo si guadagna da vivere grazie alla sua magia: con la sua musica, egli anima degli origami raccontando storie incredibili nella piazza della sua città. Un giorno il ragazzo verrà attaccato da due antichi demoni, servi di un signore del male che vuole catturarlo, possedere la magia e contaminare la terra. Kubo intraprende quindi un’avventura alla ricerca dell’armatura perduta di suo padre, in compagnia di due simpatici aiutanti, in un viaggio che lo porterà a scoprire i terribili segreti della propria famiglia.
Kubo e la Spada Magica non è da ritenersi un capolavoro solamente a causa della prevedibilità della sua trama nella parte centrale, la cui struttura risulta fin troppo classica ma, tolto questo, è un film di animazione monumentale, dallo straordinario valore cinematografico.
La caratterizzazione del villain è, soprattutto nel finale, coraggiosissima: gli ultimi dieci minuti della pellicola sono, infatti, una perfetta sintesi della filosofia del racconto. Il male, seppur descritto in termini assoluti, non è mai irrimediabile, così come il bene non nasce da un moto interiore ma da un lavoro di qualificazione dell’io, dall’identità che viene plasmata nella società. Nessuno, neanche i mostri più crudeli, sono senza speranza nel mondo creato dalla Laika.
Kubo
Kubo e la Spada Magica
L’arte del racconto viene poi trasfigurata e personificata nel giovane cantastorie, il quale produce veri e propri spettacoli di marionette (non a caso la tecnica di animazione utilizzata comporta proprio la presenza in scena di fantocci), nei quali manca però il finale. Kubo non racconta mai il finale delle sue storie, non può, non sa costruire un finale per una vita che continua anche dopo la risoluzione e il confronto con il proprio demone. Questo rifiuto alla chiusura del sipario darà ragione al ragazzo: il film è infatti un affresco tragico, disperato se enunciato ma ricco di speranza se visto e capito. Anche le vite dei cari defunti, nel paese in cui canta le storie, non sono destinate a perdersi dopo la loro fine ma continuano a scorrere, seppur per pochi istanti, nel fiume della vita in cui vengono accompagnati dai propri cari sulla terra. Kubo e la Spada Magica c’insegna a non avere paura del buio nel nostro occhio cieco, quello che non può incrociare un altro sguardo e quindi cogliere l’essenza vitale, ma ad addentrarci nella notte per rivedere l’alba e rinascere come luce.
Non si tratta di un film mistico, è un’opera sincera che parla attraverso immagini potenti e raccoglie l’essenza del mito, condiviso in piazza e regalato al popolo. I greci amavano pensare a Omero come a un cantore cieco, capace di trascendere la materialità delle cose e parlare al cuore dell’uomo. Kubo, invece, conserva una doppia anima: egli canta storie senza finale che nascono dalla materialità della carta, ma sono in contatto con il retaggio di coloro che hanno aperto il cammino e non se ne sono mai andati.
Consigliato a: bambini grandi (a tratti inquieta) e a genitori che cercano un modo per spiegare ai propri figli il significato di morte, vita e amore.
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