INSIDE OUT, la recensione

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Riley ha undici anni, una bellissima famiglia e una casa stupenda. Non c’è nulla che non vada nella sua vita e le sue emozioni, Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura convivono e collaborano all’interno di un simbolico quartier generale, corredato da una magica console emozionale, per consentirle di apprendere, giocare, divertirsi, infastidirsi e anche piangere. Un giorno però Riley si trasferisce con i genitori a San Francisco dove fatica ad ambientarsi ed inizia ad affrontare le prime difficoltà e, insieme, le prime tristi delusioni.

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Dopo lo straordinario successo di Up Pete Docter approda alla regia di Inside Out, donando la sua infinita esperienza al servizio di una narrazione originale, fresca e brillante per far vivere le emozioni dentro e fuori dallo schermo. Il risultato è un capolavoro di tecnica e umanità, demagogia ed insegnamento: il regista supera sé stesso e tutte le produzioni animate della Pixar pervenute finora, mescolando con sapienza e perizia sopraffina gli aspetti migliori ed originali dei lungometraggi del passato. Inside Out è l’opera omnia e d’eccellenza dello studio sussidiario della Casa di Topolino, la summa totale dell’operato produttivo degli ultimi 10 anni: raccoglie la magia di Wall-E, la delicatezza di Up, il sano divertimento de Gli Incredibili, l’energia di Monsters & Co., la dedizione e la determinazione di Ratatouille, e la lungimiranza di Toy Story (che ha aperto la strada ai suoi successori) per metabolizzarli e centrifugarli in un concentrato di sentimenti dove amore, speranza e sensibilità vengono raccontati con estrema semplicità, in modo efficace e razionale. Una lezione di comportamento ‘umano’ unito ad una riflessione psicologica impeccabile per disegnare con eleganza ed armonia un quadro metaforico che rispecchia perfettamente il funzionamento della macchina ‘cervello’, il banco di comando del nostro organismo che impartisce ordini e governa i nostri stati mentali a seconda degli impulsi esterni a cui siamo costantemente esposti.

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La profonda capacità di Docter di raccontare le emozioni umane trasformandole in personaggi in carne e ossa ci consente di addentrarci in un percorso conoscitivo di apprendimento e di crescita attraverso i meandri del pensiero di Riley. Uno studio che porta le stesse emozioni e i concetti astratti a diventare tangibili e capaci di impartire una coscienziosa educazione. È, infatti, nella giovinezza e nell’apprendimento dell’infanzia che si radicano le fondamenta del carattere e della personalità, raffigurate nel film come isole legate al centro di controllo grazie ai ricordi base. Durante l’intera narrazione, la giovane protagonista cresce e al suo fianco, sempre e comunque, ci sono Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura, ognuno con il proprio compito e il proprio importante contributo da offrire nel momento oppurtuno.
INSIDE OUT
La bellezza del racconto è paragonabile alla purezza con la quale il regista riesce a creare un rapporto di empatia con il pubblico e a commuoverlo attraverso piccole ed evidenti situazioni come i ricordi sfumati che vengono buttati, l’amico immaginario che sogna di portare Riley sulla luna e le cine-produzioni dei sogni. L’abilità nel rendere il motivo ‘fantastico o immateriale una reale concretezza, l’idea di memoria, di subconscio e addirittura di sogno che riesce a prendere vita, è il fulcro essenziale attorno a cui prende forma un meraviglioso microcosmo di luoghi e spazi fisici fatto di scaffali pieni di flashback colorati, gole paurose e scoscese, set cinematografici che ogni bambino vorrebbe ‘possedere’ dentro di sè. A livello metaforico, il quartier generale è un centro nevralgico dove risiede la nostra personalità, il nostro carattere, ciò che siamo e che costruiamo passo dopo passo, giorno dopo giorno. Un ambiente così delicato e fragile che può mutare con le azioni che compiamo quotidianamente.
Inside Out ha la forza e il potere, quasi magnetico, di riuscire ad appassionare il pubblico adulto per quei concetti filosofici, teorici e profondi intessuti nella trama che fanno riflettere e interrogare, proiettando il pensiero all’amico immaginario di sempre con la speranza di poterlo incontrare in quel cunicolo tortuoso in cui si era disperso molti anni prima.

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E alla fine, la sempre rammaricata e sconfortata Tristezza vi intenerirà con il suo fare goffo e l’aria sconsolata ricordandoci quanto, a volte, sia necessaria per superare gli ostacoli e guardare avanti. Una pellicola che ricorda, e insegna, quanto il mondo interiore possa influire e, al contempo, essere influenzato da quello esteriore e quanto la mente umana abbia una capacità così alta di astrazione, con le singole emozioni che non lavorano mai slegate le une dalle altre, perché, in fondo non esiste felicità solo nella ‘gioia’, ma a volte, ci vuole anche un pizzico di tristezza.
Michela Vasini & Andrea Rurali

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