Il sospetto, Alfred Hitchcock, con Joan Fontaine e Cary Grant

Nell’estate del 1939, a quarant’anni, Alfred Hitchcock si trasferisce con la famiglia a Los Angeles. Inizia così il suo “Periodo americano” nel segno di una delle più grandi attrici della sua epoca: quella Joan Fontaine che Hitchcock saprà valorizzare nel biennio 1940-1941. Partì fortissimo il Maestro del brivido, con un autentico gioiello come Rebecca: La prima moglie (1940); vincitore di Miglior film e Miglior fotografia a fronte di undici nomination agli Oscar 1941; valorizzato dalla stessa Fontaine e da un Laurence Olivier in stato di grazia. Capite quindi, come per il successivo Il sospetto (1941), le aspettative su Hitchcock fossero altissime. Parlando di uno dei suoi primi film del periodo americano, il Maestro del brivido, con la sua solita ironia, disse:

“Si tratta del mio secondo film inglese girato a Hollywood: attori inglesi; atmosfera inglese; romanzo inglese.

Tratto dal romanzo Before the fact di Francis Iles, dalle cronache sulla lavorazione de Il sospetto, emerge un quadro “preoccupante”. Per Cary Grant, al suo primo ruolo hitchcockiano, il battesimo con il cineasta britannico fu, per davvero, “di fuoco”. Sembrerebbe infatti, che Grant non riuscisse ad avere alcun alchimia con la Fontaine definendola non professionale e fin troppo instabile, capricciosa.

Joan Fontaine e Cary Grant in una scena de Il sospetto
Cary Grant e Joan Fontaine in una scena de Il sospetto

Come a gettare benzina sul fuoco, la scelta del racconto di focalizzare il punto di vista sul personaggio di Lina creò non pochi dissidi, specie perché, di riflesso, finisce con il non valorizzare l’attore inglese. Il che è abbastanza ironico se consideriamo che, in termini di paga, Grant guadagnò più del doppio del salario rispetto alla Fontaine; ma questa è un’altra storia.

Grant fu così “scottato” dall’esperienza, che sembrerebbe aver dichiarato, in un momento d’ira, che non avrebbe più lavorato con Hitchcock in vita sua. Realizzarono assieme quattro film compreso Il sospetto, prestando il volto ad alcuni dei capisaldi dell’opus hitchcockiano; su tutti quel Intrigo internazionale (1959) che incise non poco sulla genesi filmica della saga di James Bond.

Lo scontro Hitchcock-RKO per il finale, e l’opinione di Chabrol e Rohmer

De Il sospetto (disponibile su Prime Video) è soprattutto celebre il retroscena legato alla conclusione del conflitto scenico. Nel saggio filmico Il cinema secondo Hitchcock (1966) di François Truffaut, il cineasta francese riporta per intero le perplessità del Maestro del brivido che ebbe un duro scontro con la RKO in merito. La casa di produzione spingeva per un happy-ending, che andasse a rinsaldare l’unità della coppia. Hitchcock invece aveva ambizioni forse spropositate per il cinema degli anni Quaranta. Avrebbe voluto infatti puntare su un più coerente (ma commercialmente con poco appeal) finale macabro. Vinse la RKO e per certi versi Il sospetto ne ha giovato.

Di un racconto in cui la chiave di lettura, forse, sta già nel nome di Lina Mackinlaw (Make in Love – Fare l’amore) e nella semplicità d’intenti del personaggio della Fontaine; i celebri cineasti Claude Chabrol ed Éric Rohmer, analizzarono così l’opera del 1941, nel saggio Hitchcock (1957) – soffermandosi sull’interpretazione della ratio alla base dell’agire della Lina della Fontaine:

“Il film dimostra «…in che modo il tarlo del sospetto guasta l’unità di una coppia…», la protagonista «…si nutre di tale sospetto come un vampiro, vuole solo crogiolarsi nel fallimento del suo amore.»”

Il sospetto: la sinossi del film di Albert Hitchcock 

Una giovane e solitaria aristocratica inglese, Lina Mackinlaw (Joan Fontaine), incontra a bordo di un treno, il giovane John Aysgarth (Cary Grant). Da subito è chiaro come John, detto Johnnie per gli amici, viva d’espedienti puntando molto in alto; forse perfino oltre le sue capacità. Infatti Johnnie non ha nemmeno cinque scellini per il sovrapprezzo del biglietto, figuriamoci il resto.

Sin dal primo incontro infatti, Lina capisce come qualcosa non quadri in Johnnie finendo tuttavia per innamorarsene quasi come atto di sfida verso la famiglia – che la reputa una zitella senza speranza. Per il padre, il Generale Mackinlaw (Cedric Hardwicke), Lina è in-accasabile: troppo diversa dalle donne del suo ceto sociale.

Cary Grant e Joan Fontaine
Cary Grant e Joan Fontaine in una scena de Il sospetto

Decide così di accettare la corte di Johnnie, finendo con l’innamorarsene, come fosse una fiaba. Peccato che della fiaba c’è ben poco. Il matrimonio non è da favola e il viaggio di nozze è “casalingo”: ben presto Johnnie mostrerà la sua vera natura doppiogiochista. Tra bugie (tutt’altro che) bianche, scommesse, ed eventi traumatici, Lina vedrà scemare la passione giorno dopo giorno; specie dopo che Johnnie si renderà conto che Lina è si molto agiata, ma non ricca. A quel punto, per Lina toccherà scegliere se scoperchiare il vaso (di Pandora) di Johnnie, o accettare senza troppe remore, le macchinazioni del partner.

“È difficile sorridere a quest’ora del mattino”

Perdoni era la sua gamba?” Apre così il racconto de Il sospetto fregiandosi di un linguaggio filmico immediato e netto tipicamente hitchcockiano. Un campo e controcampo con cui valorizzare dialoghi arguti e incisivi, e una soggettiva che ci mostra il colpo d’occhio lungo tutta la gamba. Tra il particolare del libro di psicologia infantile; una signorina minuta; e una terza classe che diventa prima a Hitchcock bastano due minuti per presentarci i Johnnie e Lina di Grant e Fontaine.

Un gioco di dettagli e particolari tra chi affronta la vita un morso alla volta, e chi ne prende appena un semplice morso. Caratterizzazioni semplici, rese possibile da una costruzione dell’immagine certosina e di pochi espedienti ed elementi, che permettono a Hitchcock di giocare sul detto/non detto; sul mostrato e celato; tra un post-sbornia e il non avere nemmeno cinque scellini.

Cary Grant e Joan Fontaine
Cary Grant e Joan Fontaine in una scena de Il sospetto

Una digressione temporale risulta quindi funzionale nel mostrarci le intenzioni dei suoi agenti scenici. Per mezzo di un intelligente uso di campo e controcampo, zoomate e primi piani e piani medi, valorizzando così gli eventi alla base dell’apertura di racconto. In un destino che diventa premeditazione, tra beagle e la semplicità d’intenti del Johnnie di Grant, avvolta in una mimica mefistofelica.

Musetto di scimmia: Hitchcock e la rilettura del cinema romantico

La modernità del linguaggio filmico de Il sospetto la si intuisce anche dall’andamento ritmico del racconto. Armonico; netto; veloce; in una crescita esponenziale della dinamica relazionale tra i due agenti scenici: il cuore narrativo dell’opera di Hitchcock. Un gioco d’intenzioni che tra testa e croce e mapilario occipitale con cui porre da subito le basi della polarità della sopracitata dinamica.

Pura e cruda manipolazione emotiva e fisica, di un rapporto che oggi più che mai definiremmo malato e prevaricatore fatto di un sminuire la bellezza e di “pettinature non da scimmia”. Caratterizzandosi così per un uso audace della colonna sonora e di un campo lungo in un avvicinarsi che diventa campo medio e cura dei particolari, con cui Hitchcock sottolinea la connotazione di detta dinamica, tramite un prezioso ed essenziale lavoro di regia.

La cena
Cary Grant e Joan Fontaine in una scena de Il sospetto

Lo sviluppo del racconto determina la costruzione di un solido background narrativo, con cui Hitchcock valorizza la caratterizzazione psicologica facendo così emergere; ora una palese condizione di reietto della società per il Johnnie di Grant; ora da pecora nera per la Lina della Fontaine. In tal senso, la condizione d’entrambi gli agenti scenici, risulta funzionale al racconto che, unita infatti all’evidente polarità relazionale malata, Hitchcock costruisce, lungo tutto il primo atto, una rilettura delle estetiche del cinema romantico.

Una storia d’amore che risulta così, tipizzata nei toni dolci della colonna sonora e nella predisposizione d’animo della Lina della Fontaine ma che va in contrasto con il ghigno mefistofelico del Johnnie di Grant; con i telegrammi scarni; le fughe improvvisate; il matrimonio in uno stanzino comunale; una luna di miele vista solo in foto.

L’anima mefistofelica de Il sospetto

È nel secondo atto infatti, che Hitchcock fa progressivamente crescere la ratio alla base della (nuova) dinamica matrimoniale a partire da cimeli di famiglia venduti per un nonnulla; bugie; regali inattesi e cenni d’intesa con buddy scapestrati. In uno sviluppo del racconto con cui far emergere la dimensione caratteriale del Johnnie di Grant in una progressiva destrutturazione delle bugie e dei suoi intenti. Così facendo, Hitchcock sviluppa – tra impennate d’orgoglio e sottomissione – la recitazione in sottrazione della Fontaine che vive di tristezza e serafica dignità.

Sequenza chiave, in tal senso, quella della partita a Scarabeo. Espediente con cui Hitchcock gioca con lo spettatore e la composizione dell’immagine. Sfruttando infatti il celebre gioco da tavolo, Hitchcock realizza una combinazione deliziosa di parole, tra doubt, doubtful, sino a una crescita progressiva da mudder a murder – da fango ad assassinio, in un gioco d’intenzioni ed autosuggestioni con cui far crescere progressivamente la posta in gioco. Hitchcock realizza così la più pura espressione della modernità del suo linguaggio filmico, codificandola in un susseguirsi d’immagini tra piani medi e dettagli attraverso cui insinuare il timore e il sospetto sulle intenzioni del Johnnie di Grant.

MURDER
MURDER in una scena de Il sospetto

Il cineasta britannico incede così in un’intelligente costruzione del sospetto, tra eventi traumatici, veleni “senza traccia” e sguardi indagatori, potenziando, di riflesso, la mefistofelica dimensione scenica del suo magnifico protagonista. Un raffinato lavoro di dettagli, e di tensione che si taglia con il coltello che tra momenti melodrammatici e crolli psichici risulta infine funzionale nel preparare il terreno per la climax del racconto.

Il bicchiere di latte più famoso della storia del cinema 

Una panoramica dall’alto. Un fascio di luce nel buio della sala. Johnnie appare immenso nella sua ombra. L’incedere lungo le scale. Gli occhi che fissano, dritti, il bicchiere di latte. La camera scende ad altezza busto. Il bicchiere s’avvicina verso lo schermo, in un brillante uso della soggettiva hitchcockiana con cui catalizzare l’attenzione dello spettatore sul “luminoso” bicchiere di latte. Hitchcock realizza così un piccolo gioiello di progressiva codifica della suspense filmica che trova il suo apice nell’evento risolutivo del racconto.

Tra dettagli del volante, e sul volto arcigno di Grant, Hitchcock riesce infatti – per mezzo del potere del suo linguaggio filmico – a mostrarci nella stessa sequenza eventi apparentemente distinti e uguali. Il cineasta britannico riesce così, a giocare con le aspettative nostre e del punto di vista narrativo; la Lana della Fontaine che vede così dissipare i propri intenti paranoici, sagace MacGuffin hitchcockiano non-oggettistico. Un espediente di rara arguzia filmica, con cui Hitchcock ci fa, in tal modo, rivalorizzare l’intero racconto e le sue enigmatiche sequenze.

Il bicchiere di latte hitchcockiano de Il sospetto
Cary Grant e il celebre bicchiere di latte hitchcockiano in una scena de Il sospetto

Così facendo il regista de Notorious – l’amante perduta (1946) compie un lavoro narrativo al limite dell’incredibile. Una sequenza conclusiva infatti, con cui non soltanto rileggere a posteriori l’intera polarità della dinamica narrativa “principe” ma anche un sagace lavoro di decostruzione dei topos del cinema romantico-sentimentale, per mezzo di un racconto che, a conti fatti, lo è davvero.

Tra le opere più mature del Maestro del brivido 

In tal senso quindi, la capacità de Il sospetto è quella, non solo di raccontare di una dinamica d’amore malata, ma di riuscire a farlo creando nello spettatore il dubbio su ciò che s’è appena visto. Un racconto, tuttavia, che pur essendo dotato di una modernità filmica come pochi eguali – specie se consideriamo l’epoca di riferimento – finisce con il subire proprio la sua carica innovativa.

Ponendosi così, a metà, tra rilettura del genere, e innovazione dello stesso, il racconto de Il sospetto finisce con il non saper delineare un’anima narrativa ben specifica; risultando quasi diviso a metà. In una prima parte volta a mostrarci un amore malato come sano, e in un’altra con cui costruire una suspense – vana. Risultando così unicamente funzionale nel potenziare le dimensioni sceniche dei suoi meravigliosi interpreti. Ciononostante però, tra innovazione tecnologica; una regia fluida e incisiva; un Cary Grant all’esordio hitchcockiano; e una Joan Fontaine premiata agli Oscar 1942 (l’unica attrice in un film di Hitchcock a riuscirci); Il sospetto è una delle più piacevoli manifestazioni filmiche del cinema di Alfred Hitchcock.