Appena inizia Birds of Prey ci si rende conto di conoscere pochissimo della storia, grazie a una campagna promozionale scevra di dettagli, ma molto dinamica e riuscita. Birds of Prey finisce, ma la trama concessa allo spettatore resta rarefatta, esile, sfuggente, confusa, eppure semplicissima.
Harley Quinn (Margot Robbie) è tornata. Questa volta la psicopatica psichiatra vuole rivendicare la sua autonomia di donna e criminale. È il momento dell’emancipazione da Joker che tanto dolore le ha dato lasciandola in malo modo. Ma Harley sembra avere la calamita per i guai. Seguendo il suo carattere estroverso e la sua irrefrenabile voglia di mangiare un cheeseburger, verrà catapultata in una losca caccia ad un diamante preziosissimo. In mezzo: il terribile Black Mask (Ewan McGregor) con il suo esercito di criminali. Harley Quinn non è da sola, perché nel suo viaggio incontrerà altre donne della città, arrabbiatissime e fortissime come lei. 
issimo“. È questo il suffisso giusto per descrivere il nuovo capitolo dell’universo DC. Coloratissimo, sotto steroidi, folle, Birds of Prey alza il tono, il volume e le aspettative. Il cinecomic si propone di riportarci nella Gotham City di Suicide Squad (da cui non prende le distanze, anzi!) e insaporire l’impasto con l’ironia e l’energia vicina a quella espressa da Deadpool (sebbene sia di un’altro universo fumettistico rivale). In parte, a livello di tono, il film risulta anche riuscito. La regia di Cathy Yan valorizza al massimo la stravaganza espressionista dei personaggi. Le scene di lotta sono ben coreografate, ma quello che colpisce in particolare modo è il gusto per i colori tipico del mondo dei fumetti. Cartoonesco in tutto e per tutto, Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn (questo il titolo completo) si distanzia radicalmente dall’autoriale Joker di Todd Phillips (ma questo già si sapeva) e abbraccia in pieno la sua natura di leggero prodotto di intrattenimento. Fin qui tutto bene. Anzi, una scelta decisamente apprezzabile. La grossa fatica inizia però subito dopo il simpatico prologo animato.

Sembra infatti che per paura di rendere il film troppo scolastico e lineare il team di autori abbia voluto confondere le acque, mischiando i piani temporali del racconto. Harley Quinn è la narratrice in prima persona e, per questo motivo, il suo racconto è dichiaratamente inattendibile. Un po’ Trainspotting, e troppo Memento, la sceneggiatura balza in avanti e indietro evidenziando con sovrimpressioni i nomi dei personaggi che compiono sullo schermo e le loro motivazioni. Per ogni passo in avanti, cronologicamente parlando, ce n’è sempre uno indietro che rallenta l’azione, azzoppa il ritmo e il gusto della storia. L’effetto ottenuto è quello di una lunga exposition della durata di quasi 2 ore. Non c’è un vero e proprio sviluppo dei personaggi che sia realizzato tramite soluzioni visive. Tutto è esplicitamente dichiarato di fronte alla cinepresa. Un grosso peccato per un cinecomic che si propone di adottare il funambolico gusto estetico dei fumetti. Birds of Prey avrebbe potuto essere un film alla Charlie Chaplin, fatto solo di gag visive e di azione slapstick, e invece ha scelto di essere una screwball comedy. Il genere, di cui film come Susanna! o Accadde una notte sono i capostipiti, usa le lotte verbali tra due amanti dai caratteri opposti per creare una commedia dinamica e, sul finale, sentimentale e umana.
Ma in Birds of Prey manca una figura fondamentale per realizzare questa intuizione di sceneggiatura: manca Joker. È presentato come antitesi di Harley Quinn, come il combustibile che innesca l’azione, ma ce ne si dimentica troppo alla svelta. L’arco del personaggio inizia come un’apprezzabile emancipazione femminile da anni di cinema al maschile, ma finisce per chiudersi in un semplice e spensierato “l’unione fa la forza”. Le donne di Gotham non sono sole. Ma a noi spettatori non è stato concesso sufficiente tempo per volergli bene. Non possiamo identificarci e siamo costretti a guardare le loro avventure dall’esterno: passivi e un po’ infastiditi.