Gareth Edwards torna al cinema con The Creator. La recensione.
Il rapporto tra l’uomo e le macchine al cinema viene da sempre raccontato. The Creator di Gareth Edwards torna ora sull’argomento sfruttando uno dei trend del momento, quello dell’intelligenza artificiale come pretesto per raccontare la storia di Joshua in un mondo post apocalittico dove macchine e uomo si danno battaglia. Di seguito, alcuni spoiler minori sulla trama.
Di cosa parla The Creator?
In una guerra futura tra la razza umana e le forze dell’intelligenza artificiale, Joshua (John David Washington), un ex agente delle forze speciali in lutto per la scomparsa della moglie (Gemma Chan), viene reclutato per dare la caccia e uccidere Nirmata, il creatore dell’avanzata IA che pare aver sviluppato un’arma capace di porre fine alla guerra… e all’umanità stessa. Joshua e la sua squadra di agenti d’élite oltrepassano le linee nemiche nella nuova Asia, territorio in cui l’AI governa e coesiste con gli umani, solo per scoprire che l’arma apocalittica ha le sembianze di unabambina.
Siamo in un futuro non lontano dal nostro, il mondo è infuriato da un conflitto che vede da un lato l’America, dall’altra il blocco della New Asia e in cui gli americani muovono guerra dopo aver subito un attacco nucleare su Los Angeles da parte dell’AI. La vicenda segue il percorso di Joshua alla ricerca della sua amata e intanto vede infrangersi le sue barriere di pregiudizi nei confronti dell’AI, scoprendo che forse la tecnologia ha fatto passi avanti fino a ricreare la vita, in una storia che segue molto il canovaccio del soldato ritirato dal mondo che torna solo per rivedere la sua amata, in un action sci-fi che vorrebbe essere più di quel che è. Vorrebbe.
Cosa ha funzionato e cosa no?
Se The Creator è in grado di comunicare qualcosa, più di tutto è che Gareth Edwards sa essere un ottimo regista. L’impianto visivo di questo film è buono, merito di un sapiente uso delle luci che contrappone caldi e freddi rendendo il futuro distopico del film meno distante di quanto non possa sembrare. Edwards ama decisamente le riprese dei paesaggi marini: se in Rogue One spiccavano i colori degli ambienti caraibici della base imperiale, qui si districa nella Polinesia thailandese e l’Asia che ci restituisce soprattutto nelle battute iniziali riempie lo schermo ottimamente. Stessa cosa quando poi si muove nell’ entroterra in quello che agli occhi americani ricorderà sicuramente i film a tema Vietnam.
A supporto di questo spettacolo visivo però vi è un intreccio che prova a raccontare diverse cose senza mai convincere, né affondare il colpo.
Joshua è diffidente verso le macchine e viene costretto ad affrontare un viaggio dovendosi fidare di una di esse. Nel percorso Edwards vuole avvicinarci al rapporto tra i due ma i dialoghi e l’evolversi dell’intreccio sembrano forzati. Ibidem per ciò che riguarda la gabbia, il mondo in cui ci muoviamo. Gli automi mossi dall’intelligenza artificiale vivono come gli esseri umani e hanno i loro stessi limiti pur non essendo uomini. Il film ci mostra una ambientazione che mischia tecnologia dal design avanguardistico e vintage (con richiami agli anni ’70), ma il tutto si svolge oltre il 2065 e se può essere una scelta stilistica voluta, c’è il rischio che possa creare confusione, soprattutto nelle fasi iniziali della storia, nella collocazione degli eventi.
Un film confuso
Il film vuole raccontare poi tanti concetti ma non si capisce quale sia il fulcro e dove voglia andare a parare. C’è il rapporto uomo macchina ma manca il nesso che porta l’uno ad accettare l’esistenza dell’altro così com’è. C’è l’America che guarda ai suoi ultimi 50 anni di storia senza però essere in grado di riflettere su sé stessa, c’è il percorso di accettazione del lutto da parte del protagonista, che si lega poi forzatamente alla sua accettazione dell’AI come forma di vita e poi la volontà dell’autore di raccontarci appunto che l’intelligenza artificiale sia capace di provare sentimenti e correggere le azioni umane, pur lottando contro di loro. E poi la causa scatenante del conflitto che risulta essere un misunderstanding rivelato così, come se nulla fosse.
Scopriamo solo alla fine, nei titoli di coda, che la colonna sonora era di Hans Zimmer, che forse in questa occasione non ha trovato la migliore ispirazione per comporre una delle sue intramontabili melodie.
Cosa assomiglia a The Creator?
È derivativo di tante cose questo film. C’è un po’ di Terminator, qualcosa di Matrix, tanto Star Wars. Se vogliamo anche un pizzico di Ultron. E poi molti richiami al mondo dei videogames: le tute dei soldati sembrano un po’ uscire da Death Stranding. Visivamente Edwards ci tiene a far capire quali siano i suoi legami. E poi c’è l’attualità. Siamo oggi all’inizio della rivoluzione dell’AI, circondati ogni giorno da mirabolanti nuovi orizzonti aperti da Chat GPT. Le macchine interrogate iniziano non solo a rispondere alle nostre domande ma anche ad elaborare risposte complesse, ragionate, ricercate. Non si tratta più solo di motori di ricerca, ma di motori di ricerca “pensanti” che connettono i puntini.
E se anche il capo di OpenAI si dice preoccupato di possibili sviluppi non controllati, il cinema allora rispolvera il vecchio nemico tecnologico e prova a rifarsi delle domande.
E così Gareth Edwards, colui che insieme a Jon Favreau e Dave Filoni è considerato il salvatore di ciò che resta di Star Wars con il suo meraviglioso Rogue One, ci prova con una storia in cui l’AI è nemica, ma in realtà come al solito si scopre che è l’uomo il nemico di sé stesso, spinto dalle proprie paure.
Cosa resta impresso?
Due battute.
“Non sono umani sono codice” ripete il personaggio di Washington più volte nel film, finché le sue parole diventano un interrogativo. “Non sono umani? Sono codice?”
E poi l’intervento di Ken Watanabe, androide mosso dall’AI, che rivela ciò su cui avrebbe potuto davvero vertere la narrazione, cioè il concetto che gli umani sono i veri cattivi nel proprio stesso racconto: coloro che mossi dalla loro stessa paura della fine, finiscono per realizzare le profezie che si sono raccontati da soli.
E come già detto le immagini. Un richiamo ai meravigliosi 30 secondi di Vader su Rogue One, l’AI bambina che si comporta come un perfetto Jedi e il finale, con l’umanità e l’AI purificati dalla fine della guerra che vedono le macerie della battaglia e intanto celebrano la fine.
Quindi The Creator va visto?
Se siete amanti del genere, se le ultime produzioni soprattutto sulle piattaforme vi hanno coinvolto, allora potreste trovare qualcosa di interessante. Il grande problema di The Creator però è che si tramuta in una grande occasione sprecata, annacquata nella sua confusione.
Il Film in due parole
Poteva essere tanto di più. Un film che rimane impresso (ed è già qualcosa) per la cura delle immagini, ma che spreca questo potenziale in una trama poco lucida, in dialoghi stereotipati e in una brutta costruzione dei personaggi che li rende troppo spesso solo una patina di ciò che avrebbero potuto mostrare.
The Creator è al cinema dal 28 settembre, distribuito da 20th Century Studios.