L’America e le sue contraddizioni (di ieri e di oggi) sono al centro dell’ultima fatica di George Clooney, presentata in concorso alla 74. Mostra del Cinema di VeneziaSuburbicon è una black comedy cinica e irriverente che trova nella commistione di generi (comico/drammatico/thriller) il suo punto di forza.

In un paesino degli Stati Uniti, una famiglia nera acquista una casa vicino alla residenza dei Lodge. Gardner (Matt Damon), marito e padre dall’aria tranquilla, viene coinvolto in una serie di eventi che lo calamita in un vortice di inganni e insana violenza.

Impregnato di odio razziale e cieca follia, il film testimonia l’ossessione di un paese nei confronti della comunità afroamericana e si avvale del piccolo Nicky per lanciare un messaggio di speranza, promuovendo la tolleranza civile e l’integrazione in un modello auspicato di società multietnica. Suburbicon avanza una critica non troppo velata al trumpismo e al suprematismo bianco, in un periodo storico, quello attuale, in cui l’umanità sembra tendere alla regressione sociale piuttosto che al progresso.

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Matt Damon e Noah Jupe in una foto di scena di Suburbicon recensione

Clooney orchestra una vera e propria fiera dell’assurdo proponendo un’interessante variazione sul tema della cittadina felice che nasconde al suo interno radici marce e corrotte. La regia, infatti, è attenta ai dettagli e agli oggetti di scena che risultano determinanti per lo sviluppo della narrazione. Le scene sono perfettamente calcolate per essere drammatiche e, al tempo stesso, grottesche.

Al sesto lungometraggio da regista, George Clooney compie il suo definitivo riscatto dopo il deludente Monuments Men trasponendo su grande schermo una sceneggiatura che i fratelli Coen scrissero nel lontano 1986, in seguito al successo del film d’esordio Blood Simple – Sangue facile.

Esponenti di un cinema sofisticato e pungente, i Coen donano colore e sostanza a uno script che, in epoca passata, sarebbe stato adattato in un film in bianco e nero. Animato da una regia solida e incisiva, Suburbicon rende omaggio ai capolavori di suspense diretti da Sir Alfred Hitchcock (le ombre sulla parete) e ai thriller granitici di Brian De Palma, con una giusta dose di citazionismo e originalità.

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Matt Damon e Glenn Fleshler in una foto di Suburbicon recensione

La colonna sonora svolge un ruolo fondamentale nel complesso del lungometraggio. Alexandre Desplat opta per una soluzione musicale sfaccettata, che alterna le atmosfere tese e vibranti del Bernard Herrmann di Psyco a combinazioni jazz dai toni distesi e rassicuranti. Un bilanciamento perfetto che enfatizza maggiormente l’afflato di tensione generato dal film, in un progressivo crescendo dall’inizio alla fine.

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