RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME, la recensione del film di Céline Sciamma

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Ritratto della giovane in fiamme recensione

Vincitore del premio per la Miglior Sceneggiatura al Festival di Cannes 2019, Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma, è una boccata d’aria fresca per il cinema d’autore europeo e, più in generale, per l’attuale stagione cinematografica.
Francia, 1770. Alla pittrice di talento Marianne (Noémie Merlant) viene commissionato il ritratto di Héloise (Adèle Haenel), giovane donna di alto rango uscita dal convento per sposare l’uomo a lei promesso dalla madre. L’indifferenza iniziale tra le due viene progressivamente spazzata via da un amore travolgente e indomabile.
Delicato ma potentissimo, Ritratto della giovane in fiamme non si adegua al topos, sempre più in voga e monotono, della vicenda “scandalosa” nel mondo ingannevolmente puro e raffinato del XVIII secolo. L’ultima opera di Céline Sciamma è diretta in modo magistrale, con una messa in scena e una resa fotografica degna dei grandi maestri del cinema in costume. Il godimento, tuttavia, non si limita alla dimensione estetica: il film si evolve come una riflessione intima sul potere salvifico dell’arte e della rappresentazione. E non è un caso che il fil rouge dell’opera sia il parallelismo tra Orfeo-Artista/Poeta-Soggetto osservante e Euridice-Protagonista dell’opera d’arte-Oggetto dell’osservazione.

Anche l’idea di limitare il commento musicale (peraltro fenomenale) a due sole sequenze del film, sostanzialmente sprovvisto di una vera e propria colonna sonora, carica di responsabilità i dialoghi e i movimenti degli attori che devono sostenere il ritmo e accompagnare l’azione dalla prima all’ultima sequenza.
L’importanza di Ritratto della giovane in fiamme andrebbe però sottolineata all’interno di un contesto più ampio. Si tratta infatti di uno tra gli esempi più virtuosi degli ultimi anni del tanto teorizzato (e auspicato) female gaze nella rappresentazione cinematografica. Una peculiarità assoluta dell’opera è la prospettiva del tutto femminile nella costruzione di un triplice point of view: quello della regista sull’opera, quello dei personaggi all’interno della diegesi e quello dello spettatore sul film.
La dolcezza dei movimenti della macchina da presa, la purezza dei sentimenti e il rigore della messa in scena fanno da contrappeso alla percezione di brutalità causata dalla solitudine, dalle convenzioni sociali e dall’incapacità di espressione. Oltre che tecnicamente esemplare, dunque, Ritratto scava in profondità e, senza le facili soluzioni di cui la maggior parte delle love stories contemporanee si servono, commuove lo spettatore dall’inizio alla fine.