Christopher Nolan torna al cinema con Oppenheimer, un’opera complessa e importante sulla storia dell’uomo che inventò la bomba atomica. La recensione del film!

Il cinema di Christopher Nolan è un cinema delle dimensioni. Spazio e tempo, ovviamente. Queste due forze si ritrovano come costante sia all’interno dei suoi intrecci narrativi che nelle ambizioni produttive. Così Oppenheimer è un biopic con uno spazio, ovvero una naturale propensione ad allargarsi e diventare enorme, come mai si era visto. Il tempo, ça va sans dire, è quello dilatatissimo delle tre ore. Eppure l’impressione è che questo vestito, pur abbondante nei minuti, sia stretto per tutto ciò che si vuole raccontare.

Perciò il ritmo è forsennato, i piani del racconto si affiancano, si parlano, si sommano e collidono. Siamo subatomici, dentro una fissione nucleare. Il film e il montaggio come una reazione, i personaggi come atomi impazziti, la guerra come un innesco. Il progresso tecnico è ormai condannato a non fermarsi anche a costo di distruggere il mondo stesso.

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Di cosa parla Oppenheimer?

Più che la vita, Nolan racconta i dilemmi del fisico teorico Robert J. Oppenheimer, qui interpretato da un Cillian Murphy che recita (anche un po’ troppo) con gli occhi e la costante tensione muscolare. Il diritto della scienza è rispettare se stessa e le sue pulsioni: la ricerca di risposte, la prova dell’impossibile. Ma che prezzo si paga quando la politica e la logica della guerra richiede alla scienza di diventare ciò che non è. Un uomo si ritrova distruttore di mondi. Un uomo si scopre Dio. 

Alla prospettiva più soggettiva, orrorifica, a colori, si contrappone il bianco e nero oggettivo. È la prospettiva del “rivale” Lewis Strauss, capo della Commissione per l’Energia Atomica. Robert Downey Jr. che lo interpreta, regala nei suoi panni l’interpretazione migliore della sua carriera. 

Come in una tragedia classica, gli agenti di questo radicale cambiamento sono sotto processo da una giuria composta da altri uomini come loro. La differenza è che i giudici si sentono privati del peso morale dei condannati, e dalla loro stessa coscienza. C’è almeno un Prometeo Americano tra di loro, come titola il libro di Kai Bird e Martin J. Sherwin che ha ispirato il film.

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Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) in una foto del film

Oppenheimer è un capolavoro?

Oppenheimer può non essere il miglior film di Nolan (cosa dirà il tempo?). Non possiede la stessa genialità di scrittura, la capacità di inventare situazioni, atmosfere e quasi generi inediti (come fece con il film puzzle Memento) delle sue opere più estreme. D’altro canto però non c’è alcun dubbio nell’affermare che Oppenheimer stia di diritto nella cerchia ristretta dei migliori biopic di sempre. Il suo merito è proprio quello di saper superare la dimensione cronachistica di una vita sensazionale. Vive su uno scambio di ruoli tra Oppenheimer e lo spettatore, lui osserva la sua vita frammentata come se fosse composta in sala di montaggio. Le risposte ai suoi dubbi invece sono delegate a noi in maniera lineare. 

Nolan esplora due luoghi cinematografici da lui raramente frequentati: il sesso e l’orrore. La matematicità della messa in scena del regista non aiuta però a rendere le relazioni tra lo scienziato e le due donne della sua vita (Jean Tatlock e la moglie Kitty) realmente significative e coinvolgenti. Anzi, in una scena di sesso allucinata e piuttosto risibile si perde la totale immersione nel film. È la prima volta che capita con Nolan.

Il linguaggio dell’orrore invece serve a mostrare le conseguenze della bomba all’interno di chi l’ha creata. È un horror intimo, che però mostra i suoi limiti quando tenta di farsi anche immagine di un dramma globale, di una sofferenza collettiva, di un delitto indicibile. La delicatezza nel fotografare l’inguardabile, come azione necessaria per comprendere se stessi e la storia, è ancora prerogativa di Hiroshima Mon Amour. 

Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) e Leslie Groves (Matt Damon) in una scena del film di Nolan

Oppenheimer è da vedere?

Sì, Oppenheimer è da vedere.
Si svilirebbe però il film parlandone in termini assoluti senza lasciare spazio a quel dibattito che lui stesso vuole generare. È un’opera che chiede di uscire dalla sala in silenzio, non con un applauso. Va sviscerata, non chiusa nel cassetto degli oggetti intoccabili.

È bello però manifestare l’entusiasmo immediato di fronte a un cinema d’autore come questo. Rarissimo. Oggi un’ambizione così titanica, una fedeltà tale al mezzo cinematografico come strumento che ingrandisce la realtà e la imprime su un supporto rendendola -quasi- eterna, si ritrova solo cinque volte. Mai lo stesso anno (a meno di fortunatissime coincidenze). Succede con Quentin Tarantino, con Martin Scorsese, con Steven Spielberg e Denis Villeneuve. Ovviamente a questi si aggiunge Christopher Nolan.

Se si ama il cinema a tutto tondo, dalle sue origini a oggi, non c’è alcuna ragione per non vedere Oppenheimer sullo schermo più grande possibile, condividendo con altre persone l’esperienza. Altri atomi seduti accanto con cui, a fine visione, ci si sfiorerà. Collisioni mancate, interferenze, sincronie spazi gravitazionali che si generano da una scintilla: un’idea, diventata immagine, diventata film. Un’idea, diventata scienza, diventata tre bombe: due quelle esplose sul Giappone. Una quella che ancora deve detonare per l’ultima volta e che, nel suo lento conto alla rovescia, ci illude di tenerci al sicuro.