
In un futuro post-apocalittico, città mobili su enormi cingoli si aggirano per il paesaggio desolato, divorando piccole città per sfruttarne le risorse. Il londinese Tom (Robert Sheehan) è un appassionato di storia degli Antichi e quando incontra Hester Shaw (Hera Hilmar) scopre che l’eroe della “meccanica” Thaddeus Valentine (Hugo Weaving) è corrotto.
Dal punto di vista visivo il film è ineccepibile: la metafora visiva di una torreggiante Londra mobile che si aggira per i territori inesplorati e ingoia le città più piccole è suggestiva. Il mondo sta morendo e l’umanità si trova sull’orlo dell’estinzione a causa dalla propria arroganza, in un’ambientazione visivamente potente per una storia alquanto convenzionale.

La vicenda, infatti, rimane un po’ prevedibile e claudicante fino alla fine. Il film, basato sul libro di Philip Reeve del 2001 e diretto da Christian Rivers, vive nell’immaginazione e nella fantasia delle avventure, in uno scenario quasi saturo di racconti post apocalittici e young adult, nonostante l’opera letteraria sia precedente al boom di questo “nuovo” (e ormai vecchio) genere cinematografico.
Macchine Mortali soffre di un evidente problema di adattamento: la sceneggiatura ha parecchi vicoli ciechi e i tanti momenti di spiegazione, delle vere e proprie informazioni di servizio, rallentano inesorabilmente il ritmo.
La costruzione del mondo è in perfetto stile Peter Jackson e se l’immaginario di Reeve era potenzialmente all’altezza di generare altrettanta potenza visiva, la trasposizione risulta un po’ priva di personalità. Inutile sottolineare il fatto che il film è un contenitore derivativo che prende idee e suggestioni cinefile da altri universi cinematografici: in primis le opere di Miyazaki e Star Wars, passando per Mad Max e Terminator ma senza aggiungere quel tocco innovativo che lo potrebbe rendere particolare.
