LO AND BEHOLD, la recensione del film di Werner Herzog

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Lo and Behold - Photo: courtesy of I Wonder Pictures
Lo and Behold - Photo: courtesy of I Wonder Pictures
Lo and Behold - Photo: courtesy of I Wonder Pictures
Lo and Behold – Photo: courtesy of I Wonder Pictures
«Lo», prime lettere di «Log in», fu il primo messaggio ad inaugurare l’esistenza di Internet in uno scantinato della UCLA nel 1969. Paradossalmente analogo a «Lo and Behold», guarda e ammira, concetto che sembra ispirare e dar vita a tutta la filosofia del cinema di Werner Herzog. Nel suo nuovo documentario il sommo regista si inserisce infatti nel mondo di Internet e del virtuale con lo spirito con cui si esplora una foresta amazzonica o un pianeta sconosciuto, forte della totale assenza di pregiudizi e aspettative di uno straniero in ricerca. In questo modo, fotografa glorie, pericoli, possibilità della connettività che sempre più immerge e struttura le nostre vite e relazioni. E calandosi nella foresta del web, proprio come ogni buon viaggiatore sembra chiedersi: esiste un fuori, in cui tornare a rivedere la luce del sole?
Lo and Behold - Photo: courtesy of I Wonder Pictures
Lo and Behold – Photo: courtesy of I Wonder Pictures
La ricerca si struttura in capitoli, capaci di abbracciare gli aspetti più svariati di un territorio estremamente complesso, e si avvale di interviste a precursori di Internet, creatori del cyberspazio, ingegneri robotici, geniali inventori di vetture automatiche, magistrali e divertentissimi hacker, ma anche a persone che cercano un “oltre web” per guarire dalla loro dipendenza e famiglie distrutte dalla diffusione di contenuti sensibili e dall’assenza di diritto all’oblio (tema attualissimo in questi giorni).
In tutto questo, Herzog sembra porsi un obiettivo squisitamente archeologico: cercare nell’origine di Internet le condizioni materiali che stanno alla base del virtuale, procedendo dal computer dalla grandezza di un armadio che inviò il primo messaggio della storia fino agli spazi liberi dai campi elettrici creati dai ripetitori wireless che ci mostrano come Internet, in fondo, possieda i suoi confini. Il maestro tedesco non dimentica mai di glorificare gli eroi tipicamente herzoghiani, i folli avventurieri animati da un inguaribile titanismo che con le loro invenzioni sembrano porre una sfida continua alla natura e alle sue condizioni. Eccezionale in questo senso la confessione del genio dell’hackeraggio Kevin Mitnick, che descrive in modo esilarante la propria fuga dall’FBI. Al contempo, Herzog riesce trovare la propria dimensione in spazi disconnessi e ameni, come riserve vergini al wireless in cui le giornate si passano al suono di banjo e violino. Ci sarà una fine di Internet (e del mondo)? In uno degli ultimi capitoli, indagando la possibilità di una connessione che possa raggiungere persino il pianeta Marte, il cineasta si propone come cavia per un viaggio di sola andata. Forse, nel suo caso, si tratta di un ritorno a casa.
Giancarlo Grossi

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