Les Promesses di Thomas Kruithof è il film d’apertura della sezione Orizzonti di Venezia 78. 

Dopo Alice e il Sindaco ritorna al cinema la politica fatta di amministratori diligenti in piena crisi esistenziale. Les Promesses di Thomas Kruithof apre la sezione orizzonti di Venezia78 come una bella sorpresa. Clémence, interpretata da Isabelle Huppert, è sindaco di una città alle porte di Parigi. I suoi due mandati sono quasi scaduti e si appresta a lasciare la politica. Ha un ultimo desiderio, una promessa elettorale ancora da mantenere: riqualificare un quartiere povero della sua città, dominato da un imponente palazzo oramai allo sfascio.

Aaron Sorkin scriveva con The West Wing una politica fatta sì di strategie e giochi di potere, ma operate da persone che desiderano portare a compimento una missione. In Les Promesses l’essenza è la stessa: non ci sono buoni o cattivi, ma ingranaggi burocratici e giochi di posizionamento per arrivare a fine mandato con un successo. Molto competente nell’illustrare i meccanismi che regolano l’attività civile, la sceneggiatura riesce però ad illustrare tematiche molto complesse e piuttosto tecniche restando però chiarissima e appassionante. Non mancano alcune lungaggini e un finale che non riesce a trovare il guizzo giusto per diventare memorabile. Eppure Les Promesses è un film estremamente complesso nel suo svolgimento, che mette prima i suoi dilemmi rispetto alla messa in scena (molto semplice e funzionale).

les promesses venezia

C’è la politica che si sporca le mani, quella degli amministratori, dei sindaci, che sono in contatto con le persone e risolvono i problemi. Il film la legge come un lavoro, un’occupazione a tempo determinato, ma anche in perenne contrasto con le ambizioni del potere. La politica statale, la grande struttura che regola il paese, è una costante tentazione, ma anche un ostacolo. L’agire nelle strade e a livello locale non sempre si concilia con la dimensione più ampia del governo. Il dilemma di Clémence, se chiudere in bellezza la sua carriera o provare la svolta diventando ministro, riesce a riguardare incredibilmente anche lo spettatore.

Un lavoro con molto più potere, ma con molta meno libertà” dirà ad un certo punto. Ed è qui il cuore del film: la politica è un mezzo per sé o per gli altri? e soprattutto ci viene illustrato brillantemente la difficoltà di tenere questa macchina così complessa dritta e funzionale. Talvolta sfugge di mano, si distorce, fallisce. L’arte del governo civile, della cura del prossimo e della polis non richiede solo buona volontà, ma anche di essere scaltri.

Una menzione d’onore anche ai due interpreti principali. La sempre ottima Huppert usa la sua esperienza per essere sempre nella giusta sfumatura, mentre Reda Kateb ad un certo punto diventa quasi il protagonista e regge il confronto alla grande. È come se i personaggi provassero sempre le emozioni giuste e reagissero con plausibile coerenza. Basta questo a fare un film che tocca il cuore.

 

Fonte: La Biennale