The Purge è una saga che si ama o si odia (ma conviene decisamente amarla). La notte del giudizio, questo il titolo italiano, è infatti un franchise d’azione, a tinte horror, con un’idea fortissima alla base: in un futuro prossimo l’America vive nella prosperità grazie ad un nuovo strumento di riequilibrio della società. Una notte all’anno infatti i cittadini americani potranno prendere parte allo sfogo e, a partire dalla mezzanotte, per dodici ore, tutte le leggi, le istituzioni, gli organismi di sicurezza delle città verranno sospesi. Fino all’alba non c’è nessuna regola, l’omicidio, i furti, le violenze di ogni tipo, sono consentite. Al termine l’America ritorna alla vita normale, rinata, ricostruita.
La serie cinematografica de La notte del giudizio sembrava mantenersi in forma grazie alla sua capacità di rinnovarsi: se il primo episodio era infatti un horror a basso budget, il secondo aveva mostrato una vena decisamente più action. Una virata davvero sorprendente. La Notte del Giudizio – Election Year invece non riserva particolari cambiamenti di tono, in quanto si configura come l’epilogo, la chiusura del cerchio, piuttosto che un prodotto dall’identità autonoma. Eppure tutto questo, sorprendentemente, non è un male. James DeMonaco riesce infatti a creare un mondo tangibile e complesso, in cui è possibile percepire l’esistenza di molte altre storie e altrettante persone rispetto a quelle che ammiriamo sullo schermo.
Frank Grillo ha una faccia che appare scalpellata nella roccia proprio per interpretare Leo Barnes, in questo capitolo guardia del corpo di una senatrice decisa a vincere le elezioni e a terminare l’usanza dello sfogo. Dalla sua incolumità dipenderà il futuro della notte del giudizio e della nazione stessa.
Sarebbe stato molto semplice per DeMonaco, confezionare un film politico, calcando sul facile (ed azzeccato) parallelismo con le reali vicende di Hilary Clinton (una senatrice donna, apprezzata dai moderati) e Donald Trump (noto soprattutto per la radicalità di alcune sue proposte). Eppure La notte del giudizio 3 riesce ancora una volta a miscelare brillantemente la critica sociale con il sano divertimento. Le atmosfere orrorifiche sono molto moderate ma non per questo impediscono di immortalare su pellicola alcuni fotogrammi di grande suggestione. Da una decapitazione in un vicolo, passando per gli attacchi a bordo di automobili, il lungometraggio è, ancora una volta, inquietante tanto quanto la realtà che ci circonda. Il meccanismo narrativo su cui si basa può infastidire per il modo semplice (e semplicistico) con cui affronta questioni attuali e filosofiche, ma è impossibile restarne indifferenti.
Questo è un cinema che, giocosamente, si fa provocazione e specchio del quotidiano. Il regista costruisce un prodotto d’intrattenimento carico di adrenalina e molto più intelligente di quanto voglia comunicare, poiché si pone al livello dello spettatore (anzi, più sotto) per non fare lezioni morali. Eppure il finale aperto è bellissimo; quel guizzo dell’ultimo secondo va letto non in relazione ad un proseguo della saga ma ad un compimento del significato dell’opera. Le parole conclusive, seguite da una classica “I’m afraid of Americans”, riportano Election Year di colpo nel mondo che prende forma all’esterno della sala, mostrando quanto, in fondo, la distanza tra noi e lo schermo sia minima.
Se si conosce il franchise, il film soddisferà le aspettative anche se, nella prospettiva di un proseguimento delle avventure, sarebbe interessante vedere un miglioramento netto anche dei comparti tecnici. Se i costumi sono tra i più impressionanti visti in sala quest’anno, la fotografia, il montaggio, la musica e gli effetti sonori faticano a spingersi oltre, ma regalano al tempo stesso 100 minuti di ottimo intrattenimento.
Consigliato a: i fans delle distopie.
Gabriele Lingiardi
Recensione pubblicata anche su MaSeDomani.com
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