Recensione di “I Care a Lot”, il thriller con Rosamund Pike, Eiza González e Peter Dinklage disponibile su Amazon Prime Video

Uno dei pochi motivi per guardare I Care a Lot è, forse, Rosamund Pike. Il film di J Blakeson sembra essere un ibrido che si muove tortuoso tra la dark comedy e il thriller, cercando di essere sagace, ma danneggiando solo se stesso.

L’inizio del film, scandito da un monologo graffiante della protagonista ha tutte le carte in regola per delineare l’arco narrativo della vicenda e il personaggio principale; Marla (Pike) si autoproclama antieroe mettendo subito in chiaro la sua posizione nellla pellicola. È lei la cattiva, è lei che aggredisce gli anziani, isolandoli, truffandoli e approfittandosi del loro debolezze. Marla è una tutrice legale dai metodi controversi che attraverso la corruzione di un medico e l’esercizio della sua fredda professionalità in tribunale, viene nominata tutore di anziani giudicati “inabili”. Da qui vediamo come Marla ottenga il potere sulle sorti degli anziani e si approfitti dei loro risparmi per suoi scopi personali. La linea di racconto è molto dura, scorretta e la scelta di mettere al centro della storia un personaggio tanto negativo è un azzardo che però non riesce a mantenere la forza drammatica.

Nel momento in cui Marla si trova a incastrare una insospettabile signora affiliata alla mafia russa il film precipita in una seconda parte completamente diversa, confusa e senza passione. La virata verso una narrazione più thriller entra in gioco in maniera così marcata che sembra di trovarsi di fronte a un altro film con altri protagonisti e una trama completamente stravolta.

In questa seconda parte, con l’ingresso in scena di Peter Dinklage, veniamo catapultati in un gioco al massacro con sparatorie, armi, omicidi e truffatori ancora più abili e pericolosi. Annullando completamente l’effetto sorpresa della prima parte assistiamo a un ritmo narrativo che precipita in un incedere, quasi, parodistico, di eventi sempre più assurdi.

i care a lot recensione

Blakeson non riesce a conciliare i registri molto diversi del film e, anzi, i due film si combattono, ferendosi a morte l’un l’altro. Il primo è un film crudo, viscerale a tratti anche spaventoso perché reale e plausibile. Qui la sceneggiatura di Blakeson fa un buon lavoro nel dimostrare come il personaggio della Pike, freddo e rigido, muova l’approvazione cieca delle autorità sul suo operato. Il film è agghiacciante e lascia nello spettatore un profondo senso di malessere. Il secondo film, invece, perde completamente il senso di fastidio e la forza dell’orrore che è propria della prima parte.

I Care a Lot rimane in superficie, non osa mai approfondire gli eventi o i personaggi, che restano delle macchiette monotone; la Pike è sempre vestita con abiti dai colori freddi e un taglio di capelli netto e deciso, mentre gli “altri” cattivi della gang di Dinklage sembrano usciti da uno slapstick nemmeno troppo originale.

Rosamunde Pike è sicuramente una brava interprete e in questo film ne ritroviamo il tratto gelido che ce l’ha fatta apprezzare in Gone Girl e la grinta di A Private War.

La pellicola, purtroppo, non riesce a coinvolgere lasciando che il pubblico prenda le distanze dai personaggi e smetta, a metà pellicola, quell’indagine morale che il film aveva ben imbastito, ma poi totalmente perso.