FINCHÈ MORTE NON CI SEPARI, la recensione del film con Samara Weaving

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Snake Eyes

Dopo l’ottimo e forse inaspettato successo al botteghino negli Stati Uniti, arriva in Italia Finché morte non ci separi. L’ultima fatica della coppia Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, alla loro terza collaborazione dopo il piccolo grande cult V/H/S (2012) e La stirpe del male (2014), si inserisce a pieno titolo nel filone comedy-horror tanto in voga negli ultimi anni e su cui le grandi produzioni statunitensi hanno iniziato (con un po’ di ritardo) a prestare seria attenzione.
La vicenda prende piede laddóve le più classiche love stories terminano: un lui e una lei di estrazione sociale opposta riescono a convolare a felici nozze nonostante l’opposizione dei familiari. Nulla potrebbe andare storto…se non si considera una prima notte di matrimonio in formato gioco al massacro senza scrupoli, in nome di un antico rituale di famiglia.
Intrigante la prima parte, tanto la presentazione dei vari personaggi della famiglia quanto l’introduzione al “gioco” a cui la neo-sposa non può sottrarsi. Il finale è tutto sommato divertente, e non si può negare che il putiferio pulp-demenziale in cui sfocia il crudele nascondino strappi più di un sorriso. Il problema è ciò che sta nel mezzo: una sfilza di cliché e snodi narrativi ampiamente prevedibili e stracolmi di macchinosi tentativi di impressionare lo spettatore, che non tardano però ad ottenere l’effetto opposto.

Anche il cast, composto tra gli altri da Samara Weaving, Adam Brody, Mark O’Brien e Andie MacDowell, aiuta a identificare Finché morte non ci separi come un prodotto d’intrattenimento per teenager alle prime armi, esaltati di vedere qualcosa di cool e originalissimo (cosa che non è affatto).
L’esito può comunque per diversi aspetti ritenersi appagante e, in modo forse paradossale, conciliante. Non bisogna infatti farsi ingannare dai copiosi schizzi di sangue e dallo straniamento che provoca il ribaltamento della situazione iniziale: la resa fotografica patinata e fin troppo linda, che rimanda a numerose produzioni televisive di successo degli ultimi anni, contribuisce ad un impacchettamento decoroso e convenzionale, ma rinuncia, nonostante i contenuti sembrino pensati apposta, a qualsiasi tipo di mordacità.
Finché morte non ci separi, in conclusione, lascia l’impressione di un’occasione sprecata, in cui la volontà di spingersi oltre il limite e di stupire è urlata a gran voce, ma in modo troppo furbo e mai del tutto autentico.