Ferie d’Agosto, di Paolo Virzì, con Silvio Orlando, Sabrina Ferilli ed Ennio Fantastichini

A ventiquattro anni di distanza dal suo rilascio in sala, ciò che colpisce di Ferie d’agosto (1996) di Paolo Virzì (Notti magiche, La pazza gioia, Ella & John), è la sorprendente attualità tematica, nonché la capacità di parlare – oggi come ieri – di vizi e virtù degli italiani. Una capacità d’analisi mista a note di dolcezza e realismo, tipica del “primo periodo” del cineasta livornese.

Ferie d’agosto è infatti piena espressione dell’evoluzione della poetica di Virzì. Una seconda regia che dopo l’intelligente esordio de La bella vita (1994), affina il suo stile, e realizza un high-concept che cova al suo interno delle tipicità germinali. Uno sguardo critico verso la società che troveranno piena maturazione nel successivo Ovosodo (1997) Leone d’argento al 54° Festival di Venezia.

Una scena de ferie d'agosto
Una scena de ferie d’agosto

Laddove infatti, Ovosodo racconta della disillusione dell’individuo in un coming-of-age – dall’adolescenza all’età adulta – arguto come pochi nel cinema nostrano, Ferie d’agosto ragiona più nell’ottica delle occasioni mancate tra i trenta e i quaranta; ruotando il tutto attorno al periodo ferragostano come opportunità con cui staccare la spina e far bilanci della propria vita.

Nel cast del film figurano Silvio Orlando, Ennio Fantastichini, Laura Morante, Sabrina Ferilli, Piero Natoli, Rocco Papaleo; e ancora Gigio Alberti, Antonella Ponziani, Paola Tiziana Cruciani e Mario Scarpetta.

Ferie d’agosto: la sinossi del film di Paolo Virzì

A Ventotene, due gruppi di persone trascorrono le vacanze in due case contigue. Un gruppo fa “capo” al giornalista Sandro (Silvio Orlando) e la compagna Cecilia (Laura Morante). L’altro a Ruggero (Ennio Fantastichini), imprenditore romano. A seguito di un incidente che coinvolge l’extracomunitario Tewill (Oumar Ba), tra i due gruppi “familiari” scoppierà una guerra dialettica (e non solo) tra accuse e difese, con Sandro e Ruggero pronti a darsi battaglia sotto le stelle della Notte di San Lorenzo e nella calura ferragostana. Tra nuovi amori, strade impervie e rivelazioni, Ventotene si tingerà delle tante sfumature dell’Italia contemporanea.

Una scena de Ferie d'agosto
Una scena de Ferie d’agosto

Dialoghi brillanti e stereotipi culturali made in italy

Ha un incipit abbastanza atipico Ferie d’agosto. Una processione in piena Rimini a cui si sovrappone un conflitto d’incomunicabilità umana tra i Sandro e Cecilia di Orlando e Morante, ed è interessante soprattutto il modo in cui questo viene raccontato. In piena medias res infatti, Virzì realizza un gioiellino dialogico fatto di battute incisive e sferzanti – dai toni quasi Alleniani – con cui raccontare una crisi familiare.

Come se non bastasse però, la presentazione dei personaggi – compiuta mediante un linguaggio filmico immediato – prosegue nelle dinamiche ciociare tra sorelle e cognati delle coppie dei personaggi di Fantastichini e Natoli. Espediente con cui generare una chiara e netta opposizione tra i due nuclei scenico-familiari, e con cui arricchire il racconto nella componente umana e da un punto di vista di conflitti narrativi. Tra nonne trasportate su moto-ape e zuppe di porro “senza porro”, Virzì dipana una narrazione che vive dello sviluppo graduato dei suoi mini-conflitti –  ora romantici, ora “finanziari”, ora culturali – ognuno dotato di una propria “trasformazione a tre atti”.

Laura Morante e Silvio Orlando
Laura Morante e Silvio Orlando in una scena de Ferie d’agosto

Alla base dei mini-conflitti scenici e dell’opposizione tra le caratterizzazioni, c’è però un evidente intento culturale. Il racconto di Ferie d’agosto gioca tutto sulle differenze culturali degli italiani; ora tra varietà televisivi e Shakespeare; ora tra linguaggio forbito e “di borgata”, ed è proprio questa la chiave di volta della narrazione.

Attraverso la più comune delle opposizioni caratteriali, Virzì realizza un microcosmo della società contemporanea tra Milano e Roma, la cui inevitabile incomunicabilità risulta funzionale nell’economia del racconto. Il regista tratta così la crisi dell’ideologia politica degli anni Novanta sino ad alzare la posta in gioco nelle tematiche del conflitto scenico trattando della discriminazione razziale e della crudeltà verso gli animali.

Ferie d’agosto: Sotto il cielo di Ventotene

La risoluzione del conflitto tra le due fazioni – simulacro degli stereotipi culturali italiani – trova il suo compimento nella scena madre dell’incontro “a tavola”. Virzì realizza uno scontro dialettico tra la dimensione intellettuale e quella populista per cui “la politica è una zozzonata“. Tra atteggiamenti sofistici e chi butta l’immondizia per strada, a emergere è un virgolettato che sembra quasi uscire dall’arena culturale del 2020, e che Virzì affida alla “coscienza” di Ferie d’agosto, il Sandro di Orlando:

Nei libri che lei non ha letto c’è scritto che in questo paese c’è stata una dittatura lunga vent’anni. Razzismo, intolleranza, guerra, deportazioni. E se lei ritiene giusto che un ragazzo africano – senza casa né lavoro – alle soglie del Duemila non abbia nessun diritto, allora vuol dire che quella tragedia è stata inutile.”

Sabrina Ferilli e Pietro Natoli
Sabrina Ferilli e Pietro Natoli in una scena de Ferie d’agosto

Tale sequenza permette di dare il via alla risoluzione dei sopracitati mini-conflitti all’interno dei nuclei scenico-familiari. Sotto il cielo di Ventotene e nella Notte di San Lorenzo, intellettuali e populisti sono tutti uguali: nel guardare al cielo, le stelle cadenti di Virzì diventano il grande livellatore degli agenti scenici. Chi nel desiderare una vita diversa, normale; chi vorrebbe maggior rispetto; e chi vorrebbe morire e non aver bisogno d’amore; in chi vorrebbe poter parlare francese e inglese; chi tornare indietro ai 18 anni e avere tutta la vita davanti; e chi vincere al Totocalcio. Nonostante le aspirazioni però, ognuno dei personaggi di Virzì si muove sulla base delle proprie nature: chi da perdente; chi da vigliacco; chi con arroganza e chi ipocritamente.

Tra le opere più incisive del cinema di Virzì

Tra bilanci esistenziali, nuovi arrivi, rapporti martoriati che procedono per inerzia, occasioni mancate e una nota melodrammatica (un po’) fuori fuoco, Ferie d’agosto chiude il proprio racconto in un’autentica catarsi scenica allargando sempre più la forbice delle differenze culturali.

Come dicevamo in apertura, Virzì realizza un racconto che oltre ad anticipare tematicamente quel Ovosodo – autentico capolavoro del suo opus – è anche testimonianza di una crisi di valori che ha trovato il pieno compimento nel secondo decennio degli anni Duemila; accostando così, la sua seconda regia, a quei racconti ferragostani malinconici, di cui Il sorpasso (1962) risulta piena espressione.

Ciò non fa che dare maggior valore al lavoro di un cineasta che seppur non maturato a dovere nella grammatica filmica, agli albori ha saputo raccontare come pochi altri dell’italianità e degli italiani. Ferie d’agosto invecchia bene, come il buon vino, ma per ragioni che forse sarebbe stato bene non avere.