Cobra di George Pan Cosmatos, lo sgangherato action della Cannon Films, con Sylvester Stallone, Brigitte Nielsen, Reni Santoni e Brian Thompson

Nel pieno degli anni ottanta, la Cannon Films dei cugini israeliani Menahem Golan e Yoram Globus stava letteralmente mangiandosi Hollywood, e non in senso buono. Soltanto nel 1986, all’apice della sua ascesa – nonché inizio del declino –  la Cannon produsse qualcosa come 43 film. In pratica i numeri attuali della Disney con la differenza che rispetto alla Casa di Topolino, il budget della Cannon Films era di 1/10, a film. Tra i vari Invaders; Delta Force; Non aprite quella porta – Parte II di Tobe Hopper; Otello di Franco Zeffirelli; La legge di Murphy; emerse quel Cobra (1986) di George Pan Cosmatos che oggi probabilmente vedremmo sotto la voce di “Originale Netflix ma che all’epoca fu non solo uno dei prodotti di punta della Cannon ma anche uno dei più celebri scult.

Sylvester Stallone e Brigitte Nielsen in una scena de Cobra

Sulla Cannon Films andrebbero scritte pagine e pagine di approfondimenti. Nonostante infatti una produzione semi-infinita di b-movies scadenti al pari di L’ultima vergine americana (1982); Hercules (1983); Bolero Extasy (1984); Rombo di tuono (1984); i sequel “senz’anima” de Il giustiziere della notte (1982-1994), Golan e Globus riuscivano ogni tanto a piazzare prodotti come Love Streams (1984), penultima fatica di John Cassavetes; A 30 secondi dalla fine (1985) di Andrej Konchalovsky; il sopracitato Assault, Oscar al Miglior film straniero 1987; non ultimo lo sgangherato ma molto interessante a livello cinefilo Re Lear (1987) di Jean-Luc Godard. Concept che hanno tratto forza proprio dalla loro dimensione beta, nonché da un budget irrisorio.

Paradossalmente è un po’ ciò che sta facendo Netflix in termini di catalogo. Il colosso di Los Gatos infatti, tra Roma (2018) e The Irishman (2019); Enola Holmes, The Old Guard e Tyler Rake (2020) ha saputo diversificare la sua offerta tra cinema elitario, d’autore e action, tendente al cinecomic puro. Un tempo c’era la Cannon di Golan-Globus, di cui l’eminente critico cinematografico Roger Ebert, nonostante l’evidente caratura generalmente “al ribasso” delle sue pellicole, ebbe da dire nel 1987 come in fondo:

Nessuna organizzazione produttiva al mondo oggi – certamente nessuna delle sette major di Hollywood – ha dato più possibilità ai film seri e marginali della Cannon.

Il mancato Beverly Hills Cop, la fortissima censura, l’auto di Stallone

Il destino di Cobra è legato a doppio filo a una delle opere più interessanti di quella decade: Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills (1984) di Martin Brest. Da quanto emerge dalle cronache dell’epoca infatti, nei piani iniziali Stallone avrebbe dovuto prestare il suo volto ad Axel Foley; ruolo poi andato – e reso grande – da uno strepitoso Eddie Murphy che seppe consacrarsi dopo l’ottimo esordio ne 48 ore (1982) di Walter Hill.

L’ex Rocky Balboa aveva perfino riscritto larga parte dello script dell’opera di Brest, caratterizzandolo di un tono decisamente più cupo; dalla violenza straripante. Modifiche, idee, suggestioni, che Stallone ha poi riciclato per il concept di Cobra, e di cui, ironicamente, non se n’è vista traccia nel montaggio finale. Vennero infatti valutati come X dalla censura, e rimosse interamente. Un taglia-e-cuci decisamente brusco, snaturante, con cui l’opera di Cosmatos – oltre ad evidenti problemi di continuity – passò dalle 2 ore di montaggio originale, ad appena 84 minuti complessivi.

AWSOM50

Tra le più interessanti curiosità legate alla produzione di Cobra, quella legata alla AWSOM 50 resta la più curiosa. Sembrerebbe che la leggendaria Ford Custom Mercury del 1950 di Marion Cobretti fosse, appartenente proprio a Sylvester Stallone. Chiaramente non fu esattamente la sua ad essere utilizzata in scena. Lo studio produsse due copie della macchina così da poterla “impiegare”; per non dire demolirla.

Nel cast figurano Sylvester Stallone, Brigitte Nielsen, Reni Santoni, Brian Thompson, Andrew Robinson; Val Avery, John Herzfeld, Art LaFleur, Lee Garlington.

Cobra: la sinossi del film di George Pan Cosmatos

Marion “Cobra” Cobretti (Sylvester Stallone) è un tenente della Zombie Squad: divisione del LAPD che si occupa di delinquenti psicopatici. Osteggiato aspramente e criticato dai suoi stessi superiori, e colleghi, sui metodi utilizzati – tranne il Sergente Gonzales (Reni Santoni), suo amico – Cobretti viene convocato, a malincuore, in un supermercato. La sua missione è quella di salvare un nutrito gruppo di clienti di un supermercato da un tale che afferma d’essere un membro de Le Belve della Notte.

Neutralizzato, i delitti delle Belve si moltiplicheranno a dismisura. Una sera infatti, una delle Belve (Brian Thompson) agisce a volto scoperto facendosi riconoscere da un’innocua passante: Ingrid Knudsen (Brigitte Nielsen), una modella di ritorno da lavoro. Diventata così una scomoda testimone, toccherà al Cobra l’incarico di proteggerla.

Brian Thompson in una scena de Cobra

Stallone & Cosmatos: il Rambo 2 di Menahem Golan

Tratto dal romanzo Bersaglio facile (1974) di Paula Gosling, a cui peraltro Stallone chiese di poterlo rieditare all’indomani del rilascio in sala dell’adattamento, facendolo figurare come autore (?!?), Cobra sembrava partire da una premessa solidissima: l’accoppiata Stallone-Cosmatos. Nasce infatti immediatamente dopo Rambo 2 – La  vendetta (1985). Sequel non meno efficace ma senza l’inevitabile originalità del predecessore del 1982, in cui entrambi figurano, rispettivamente, come interprete e regista. A suo modo, Cobra parte proprio da qui. Golan e Globus erano infatti grandi fan della saga, che a modo suo rappresenta, in potenza, l’essenza stessa della Cannon Films.

Non potendolo realizzare, Golan scelse invece di fare il “suo” Rambo: Rombo di tuono. Quintessenza del b-movie Cannon, che rilanciò la carriera cinematografica di Chuck Norris, fino a quel punto “zoppicante”. Nel farlo però, Golan “trarrà ispirazione” (giusto per non scrivere la parola “plagio”), dalla sceneggiatura di Rambo 2 di James Cameron; tanto da figurare nei credits di Rombo di tuono come autore. Nonostante le controversie, Golan riuscì perfino a togliersi lo sfizio di avere Stallone in scuderia e proprio Cosmatos come regista: prende così vita Cobra in quel solco tra vezzo e intenti, diciamo, artistici.

Sylvester Stallone come Marion Cobretti

Parliamoci chiaro, Cobra rappresenta in toto lo stile Cannon. Casa di produzione che si, offriva un catalogo di pellicole molto variegato – giustamente lodato da Ebert – ma concepito da due produttori entrati quasi di soppiatto nel mondo del cinema; specie tenendo conto del physique di Menahem Golan. I vulcanici produttori israeliani erano infatti noti nell’ambiente per il loro stile molto “pragmatico”: sceneggiature basilari inventate (e reinventate) sul momento da Golan; sesso e violenza gratuita resi in forma sgraziata e aggressiva; riciclo di vecchie glorie; effetti speciali posticci.

Cobra: l’Anti-Cannon 

Ecco, Cobra rappresenta esattamente il lato positivo di questo approccio; l’altra faccia della medaglia, specie considerando la larga parte delle produzioni Cannon dell’epoca. La narrazione ad esempio, poggia su fondamenta che danno linfa ad un’estrema dicotomia bene/male declinata ora nel conflitto scenico tra il Corbetti di Stallone e il Belva di Thompson, simulacri di una carica valoriale di pura anarchia posti agli angoli opposti dello scacchiere narrativo; ora sulla sottile linea di confine tra vigilante e giustizia in seno alle forze dell’ordine che risulta invero ridondante e ripetitiva.

Tuttavia pur sviluppandosi in un andamento netto, Cosmatos vede crescere il suo racconto senza porvi la giusta attenzione nell’edificare l’opportuna base drammaturgica atta a supportare la complessità del sottotesto; oltre che del classico e tipizzato conflitto scenico bene/male nella crescita della posta in gioco. I pesanti tagli in post-produzione, finiscono così con l’abbattere una narrazione che vive più di forma che d’effettiva sostanza; come la larga parte dei prodotti Cannon del resto.

Sylvester Stallone come Marion Cobretti

Lo stesso dicasi per l’intera caratterizzazione del Cobretti di Stallone. Nel suo essere una sorta di punto d’incontro amalgam tra Batman e Il Punitore alla luce del sole infatti, la dimensione caratteriale di Cobretti poggia tutta, letteralmente, su un paio di occhiali da sole dalle lenti di un nero denso; l’eterno stuzzicadenti penzoloni e la recitazione monocorde completano l’approfondimento psicologico.

Nonostante questo però, e contro ogni possibile logica Cobra funziona nelle immagini filmiche prese singolarmente: nelle frasi fatte oltre il concetto di didascalismo alla “Tu sei il male, io sono la cura!”; negli inseguimenti al limite dell’inverosimile; nelle sparatorie; perfino nella climax. Schizofrenico ibrido narrativo tra un distopico Mezzogiorno di fuoco (1952) dal sapore madmaxiano e la stessa chiusura di racconto di Terminator (1984) con la sola eccezione che se Cameron riconduceva il tutto, a un contrappasso dantesco da pressa meccanica in una fabbrica, in Cobra invece, il regista di Cassandra Crossing (1976) ci piazza una suggestiva acciaieria buttandoci dentro l’intera rassegna di topos action anni ottanta: botte da orbi, il solito, telefonato, happy-ending, e l’ancora più telefonata scazzottata uno contro uno dopo un’intera narrazione passata a spararsi contro.

L’inizio del breve sodalizio Stallone-Cannon Films

Parlassimo di una qualunque altra casa di produzione, l’opera di Cosmatos sarebbe perfino dannosa oltre che ingiudicabile positivamente. Inserita però, nel catalogo di una casa di produzione che su dieci film prodotti ne azzecca forse uno, diventa perfino un valore aggiunto; la differenza la fa quell’asterisco blu metallico su cui appare, in bassorilievo, la scritta Cannon Films, più o meno, come diceva il Tony D’Amato di Al Pacino in Ogni maledetta domenica (1999): la differenza tra vivere e morire (a Hollywood).

A onor del vero, complice anche la massacrante post-produzione depauperante, Cobra non ha avuto l’impatto che Stallone, Cosmatos e perfino la stessa Cannon s’aspettavano: un sequel cancellato per incassi non all’altezza; un videogame omonimo per Commodore 64 perfino più riuscito dello stesso film; e la sensazione generale, a distanza di venticinque anni, come gli intenti fossero quelli di costruire un franchise cinematografico action a tutti gli effetti. Stallone e Cannon però non s’arrenderanno. L’anno successivo tenteranno la sorte con l’ancor più discutibile Over The Top (1987); un fiasco di cui si sentiva l’odore già al momento del pitch ma come ogni buon prodotto Cannon che si rispetti, guilty pleasure irresistibile.