Amazon Prime Video, con Carnival Row, aveva un obbiettivo ben preciso da portare a termine: quello di correre alla creazione di una nuova proprietà intellettuale originale in grado di rivaleggiare con quelle grandi serie entrate già di diritto nell’Olimpo del piccolo schermo.
Ogni cosa di questa serie, creata da René Echevarria e Travis Beacham, mira a diventare il nuovo caso mediatico in stile Game of Thrones: un impianto di produzione notevole, un cast di livello, un immaginario molto convincente e suggestivo che, a conti fatti, non sono stati tuttavia ancora sufficienti a catturare l’interesse del pubblico.
Intendiamoci, Carnival Row non è una brutta serie, tutt’altro. Pesca a piene mani da vari generi letterari e cinematografici per confezionare un prodotto tutto sommato coerente, andando a costruire l’ennesima ambientazione fantasy ma diversificandola da tutto quello visto finora.
Il linguaggio della serialità televisiva, però, non viene sfruttato a dovere e purtroppo il progetto impiega troppo tempo ad assumere un visione chiara e precisa, facendo intuire a chi guarda dove voglia realmente andare a parare.
Veniamo trascinati in una sorta di Londra Vittoriana, dal sapore vagamente “steampunk”, in cui gli esseri umani si sono trovati costretti a convivere con creature fantastiche in un clima pregno di tensioni razziali, dove questi esseri, relegati ai margini della società, svolgono i lavori più umili: centauri facchini, puck che servono nelle case di umani facoltosi e fate che si prostituiscono per qualche moneta.
Mentre il parlamento discute dei crescenti episodi di razzismo e della rabbia crescente nelle strade, ad alimentare questo conflitto arriveranno anche una serie di orribili omicidi che renderanno la città una vera e propria polveriera pronta ad esplodere.
Nonostante il focus della serie sia la relazione tra l’ispettore Rycroft Philostrate (interpretato da un convincente Orlando Bloom) e la fata Vignette Stonemoss (a cui presta il volto una Cara Delevigne non altrettanto brillante), la struttura stessa della serie porta presto l’interesse dello spettatore su altri binari. Carnival Row, infatti, si basa su una trama generale solida e diverse sottotrame minori che contribuiscono ad arricchirne l’immaginario.
Se nei primi episodi l’atmosfera da poliziesco richiama quella di opere come From Hell(La Vera Storia Di Jack lo Squartatore), man mano che si va avanti risulta chiaro come il vero cuore del progetto risieda nella tematica centrale del razzismo e dell’intolleranza, messa in scena in maniera intelligente e mai retorica (superfluo sottolineare quanto sia attuale di questi tempi).
L’intreccio narrativo viene diluito nel corso di questi otto episodi, risultando piuttosto slegato e utilizzando una struttura quasi a compartimenti stagni dove, di conseguenza, le varie “sidequest” manifestano tra loro poca organicità.
Non c’è rimasto molto della partecipazione alla serie di Guillermo Del Toro, che avrebbe dovuto non solo produrla ma anche girarla e, forse, avrebbe giovato una visione più specifica e precisa di un regista che questi temi ha dimostrato più volte di saperli affrontare in maniera brillante (citiamo per primi Hellboy e La Forma dell’Acqua).
Malgrado quest’aria d’incertezza, lo show gioca il suo asso nella manica nel finale, aprendo la partita a una seconda stagione con delle premesse molto interessanti.
Vengono stabiliti ruoli ben precisi per i personaggi e, soprattutto, viene loro imposta una nuova situazione che, se ben affrontata, potrebbe portare a uno sviluppo intelligente dei conflitti finora mostrati.
Insomma, Carnival Row, nonostante qualche passo falso, risulta decisamente un prodotto interessante e si fa perdonare per le storyline slegate, il ritmo claudicante o i personaggi a volte dimenticati e poco incisivi, regalandoci un’atmosfera e una coerenza di ambientazione rara, il cui studiato sviluppo porterà molti spettatori tra le fila di casa Amazon che, sempre più, sta puntando a creare una solida base di abbonati, in concomitanza con l’arrivo sul mercato della piattaforma Disney+ e dell’imminente “guerra” all’intrattenimento di massa.