The father, opera prima del regista esordiente Florian Zeller, ha senz’altro il grande pregio di descrivere in maniera efficace la demenza senile e le sue ripercussioni su paziente, familiari e caregivers. Grazie a una sapiente e precisa scelta registica, infatti, lo spettatore, dopo pochi minuti (e per l’intera durata del film), si sente perso, smarrito, disorientato, disperato: l’identificazione con il protagonista è totale. Per buona parte dell’opera, infatti, il punto di vista é quello di Anthony (interpretato da Anthony Hopkins), affetto da demenza.

the father

Nulla è come sembra, recita il sottotitolo del film, tutto può apparire chiaro, cristallino e venire stravolto un attimo dopo. Anthony appare subito come un vecchio divertente, un po’ smemorato, ma dotato di un certo sense of humor. Purtroppo però anche questo sense of humor è ormai deteriorato, un’immagine sbiadita di quello che probabilmente era in passato. Basta una semplice battuta come “You can’t move to France. They don’t even speak English!”, per far comprendere la portata implosiva di questo piccolo mondo mentale. Se la frase pronunciata da Anthony strappa per ben due volte un sorriso nello spettatore, una volta che questa viene ripetuta in continuazione, tipo mantra, e in maniera meccanica, un senso di angoscia pervade il proprio pubblico. Un automatismo, questo, che cela smarrimento, disperazione, un estremo tentativo di rimanere ancorato alla persona che fu e, inesorabilmente, non sarà più. E ancora, si prenda l’ossessione, paranoica e incessante, di venire derubato del proprio orologio da polso: il senso di smarrimento, che si prova per la perdita dei propri ricordi, è talmente insostenibile e doloroso, da venire proiettato difensivamente all’esterno, su un oggetto, che ha però un forte valore simbolico (segno che la struttura psichica, pur compromessa, è ancora abbastanza integra). L’orologio è simbolo del tempo, quindi del passato, della memoria, che Anthony percepisce sgretolarsi poco a poco. La perdita dei ricordi, quindi della propria identità, viene fantasticata come la perdita di un bene materiale.

The Father

La fotografia (cupa, caratterizzata da toni scuri) e la scenografia (quasi sempre in penombra) conferiscono all’ambiente domestico, nel quale si svolge praticamente l’intera azione, un ineluttabile senso di oppressione, di labirintico disorientamento, senza alcuna via d’uscita. Ottima anche la colonna sonora, diretta da Ludovico Einaudi, che non accompagna semplicemente le immagini, ma conferisce loro ulteriore forza drammatica: basti pensare al lettore CD che si inceppa durante l’ennesima riproduzione dell’aria “Je crois entendre encore” (“Mi par d’udire ancora”) tratta dall’opera I pescatori di perle di Bizet, come a rappresentare un difetto di memoria, che, così come il lettore cd, si inceppa, interrompendo il flusso dei ricordi.

The Father

Molto ben caratterizzati in The Father anche i passaggi in cui il punto di vista é quello di Anne, la figlia di Anthony, interpretata da Olivia Colman – già vincitrice del premio Oscar come miglior attrice protagonista nel film La Favorita (2019). Un’introspezione resa in modo particolare nell’espressione dell’ambivalenza emotiva tipica dei caregiver. Ecco allora che le mani da conduttore di affetto si tramutano in angoscianti portatrici di apparente e possibile sofferenza. In una scena, infatti, Anne è colta di spalle, seduta accanto al padre disteso sul letto. Le mani di lei si muovono verso il volto del padre. Forse una gesto amorevole, una carezza? No, le mani si stringono intorno al collo. Una fantasia liberatoria, attraverso la quale Anne, uccidendo il genitore, arreca sollievo alla sofferenza del padre e, soprattutto, alla propria. Poche scene ed ecco che ripresentarsi la medesima sequenza, ma questa volta quello che ci aspettiamo essere uno strangolamento, si rivela essere una tenera carezza. Bastano pochi dettagli visivi, poche scene che et voilà, l’ambivalenza emotiva del caregiver, appunto, descritta efficacemente e tradotta in linguaggio cinematografico, comprensibile a tutti.

The Father si tramuta pertanto in saggio psicologico e medico, pertanto una parte essenziale dell’intera opera la riveste la parte terminale, del film ma anche di ogni demenza, riguardante la regressione all’infanzia. Anthony, chiede della madre, la invoca piangendo, disperato. Le ultime immagini del film, da sole, valgono il premio Oscar, meritatamente vinto, da Anthony Hopkins.

Consigliata la visione in lingua originale, per godere di tutte quelle sfumature, che, inesorabilmente, andrebbero (anch’esse come i ricordi) perse, smarrite, col doppiaggio.

Recensione a cura di Pierpaolo Dongiovanni