La recensione del film Schindler’s List diretto da Steven Spielberg

“Chi salva una vita, salva il mondo intero”. Basta una semplice frase – che di semplice, forse, non ha nulla – per incanalare tutta la potenza emotiva che scorre e batte in “Schindler’s list”.

Il nome di Steven Spielberg si adatta perfettamente alle nostre labbra e si radica nella nostra memoria collettiva come fosse uno di famiglia. Cineasta tra i più influenti dell’epoca moderna, l’abilità di questo autore sta tutto nel saper utilizzare il cinema come mezzo di comunicazione globale. Non solo forma d’arte, ma viatico di messaggi, sentimenti universali e denunce sociali, con questo film il regista non narra solamente la tragedia e le efferatezze naziste, bensì la storia della sua famiglia e del suo popolo, dando così vita a quello che è a tutti gli effetti il suo film più personale.

Il taglio documentaristico, voluto dallo stesso autore e sottolineato dall’impiego per buona parte delle riprese di una camera a spalla nei luoghi dello sterminio (Auschwitz e Plaszow), esacerba la totale devozione e immedesimazione nella storia, rendendo partecipe visivo anche lo spettatore. Tre i personaggi principali del film: Oskar Schindler (Liam Neeson), Amon Goeth (Ralph Fiennes), Isaac Stern (Ben Kingsley). Una triplice diramazione attoriale infusa di significati altri. Ogni personaggio incarna infatti anche  un sentimento, o un elemento imprescindibile non solo allo sviluppo della trama, ma alla definizione di “essere umano”. Se Schindler rappresenta dunque la speranza, Goeth la crudeltà inumana, mentre Stern la coscienza di Schindler e lo sguardo di Spielberg. L’uso sapiente delle luci descrive perfettamente la natura dei personaggi e la loro evoluzione nella sceneggiatura. Goeth viene illuminato quanto basta a sottolinearne la malvagità e la totale crudeltà e insensatezza dell’ideale nazista: la luce attorno alla figura di Schindler viene risaltata, quando riesce a prendere coscienza di sé.  Se tutto in Schindler’s List vive di di immortalità, sono comunque diverse le scene che meritano una menzione: un su tutte quella, straziante, che vede protagonista la bambina con il cappotto rosso, rappresentazione della tragedia dell’Olocausto da cui Schindler non riesce a distogliere lo sguardo, nonché unica nota di colore in un mondo invaso dal buio della morte e della disumanità; indimenticabili anche l’incipit e l’epilogo, con quelle candele volte a segnare l’inizio e la fine dell’orrore dell’Olocausto; il primo piano sullo sguardo di Goeth in bagno in cui sembra avere per un momento compassione, cancellato immediatamente da un cambio di sguardo glaciale;la scena finale, in cui i superstiti si recano a Gerusalemme per pregare sulla tomba del loro salvatore. La speranza che supera l’atrocità, la forza di non voler arrendersi che ricorda quanto valga davvero lottare per vivere.

Schindler's List

Splendido il commento musicale a opera di di John Williams, coinvolgente, filo conduttore di brividi al cuore e all’anima, capace di ricordarci, danzando con la colonna visiva, quanto l’Olocausto possa essere una finestra sul passato per riflettere e continuare a non dimenticare.

Andrea Lo Gioco

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