Dal Bianconiglio Lab la recensione di Belfast

Bambini che giocano, risate, urla di gioia, grida di aiuto, esplosioni e vetri in frantumi, rivolta. Così un quartiere di case popolari di Belfast, ritratto dal regista Kenneth Branagh, si trasforma in una via di memorie in bianco e nero, illuminate da fiaccolate e fari di elicotteri. Grazie a questi ricordi lo spettatore si avventura in un viaggio nel tempo fino all’infanzia di Branagh, mentre quest’ultimo rivive le persone e i luoghi che ha amato.

Conflitto o pace

I “The Troubles”, cioè il conflitto nordirlandese svoltosi tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Novanta, dovrebbero essere la trama fondamentale di Belfast, ma in realtà fungono da cornice, sono una vicenda in sottofondo che cambierà per sempre la vita del piccolo Buddy, alter-ego del regista stesso. Buddy è solo un bambino di 9 anni quando la sua felice realtà viene travolta da una religione, da un bivio di due strade che portano a conseguenze contrapposte: conflitto o pace. La prima è intrapresa da una rivolta nella rivolta: l’odio dei protestanti estremisti verso i cattolici ma anche verso gli stessi protestanti pacifici, come la famiglia del protagonista, la quale sceglie però il percorso opposto che ha come destinazione la ricerca di un futuro migliore attraverso il mare.

La camera da presa presta attenzione ai minimi dettagli sonori e fotografici. 

I vari piani sequenza di Belfast sembrano vecchi filmati di momenti quotidiani del passato, riprese di figli fatti dai genitori, momenti gioviali dell’intero vicinato. Questo passato è reso evidente dalla scelta dell’utilizzo del bianco e nero. Troviamo non solo il contrasto di quest’ultimo, ma anche quello delle vicende riprese: occhi puri e genuini si oppongono a ciò che sono costretti a vedere e sentire. 

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Non ti voltare

Le singole scene ammaliano e coinvolgono, che siano di una radio accesa o di un bambino che abbraccia suo nonno. Con simmetria e geometria vengono riprese, soprattutto nell’ambienta intimo di casa, più situazioni nella stessa inquadratura; lo stesso ambiente dove Buddy tende ad osservare e cercare di comprendere, diventando spia di se stesso.

Van Morrison è la colonna sonora portante del film, fa ballare i personaggi in mezzo ai tumulti, spazza via l’inquietudine a colpi di swing e solleva gli animi con lo spirito del jazz: un nota di spensieratezza in una vicenda di afflizione. 

L’amore per il cinema è una costante nel film, quasi come una trasfigurazione nel Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore: troviamo un giovane protagonista che ama la sala cinematografica ed è rapito dalle sue proiezioni.

Come nella scena dell’addio a Giancaldo tra Alfredo e Salvatore, a Belfast c’è un comune monito da parte di chi rimane:  “Non ti voltare.” 

Recensione a cura di Alessandra Ferro