A PERFECT DAY, la recensione

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Photo Courtesy of Teodora
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1995, la guerra civile jugoslava, il cui fronte in quell’anno si è spostato nella Bosnia–Erzegovina, sta per concludersi grazie allo sforzo continuo e metodico della diplomazia internazionale che ha costretto i contendenti a sottoscrivere un armistizio. Le repubbliche firmatarie sono state la Serbia e il Montenegro da una parte, la Croazia e la Bosnia dall’altra. Questa situazione di precario equilibrio è stata tutelata dalla presenza dell’esercito della NATO e da varie associazioni umanitarie che si sono prodigate in aiuti alle popolazioni superstiti, esauste da cinque anni di guerra.
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Il compromesso raggiunto garantisce l’integrità territoriale della Bosnia, ma la divisione etnica costituisce un ribollire di rancori e vendette sotterranee che il conflitto inevitabilmente ha lasciato dietro di sé.
E proprio in questa situazione politico temporale che si apre il film A Perfect Day dello spagnolo Fernando León de Aranoa che, con sapiente mano registica, ci introduce in un paese dilaniato dove regna il caos e le persone restano attaccate a fili di speranza, rette da operatori umanitari che quotidianamente tentano di utilizzare l’arma del buon senso contro le irrazionalità comportamentali dei vari gruppi razziali (tanto diversi tra loro), i quali non hanno ancora cancellato dalla mente e dal cuore la tragedia di una pulizia etnica sanguinosa e disumana.
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La trama si dipana attorno ad un gruppo di persone  che lavorano  sul territorio dell’ex Jugoslavia tramite un’associazione di volontariato portando il loro aiuto nelle zone più colpite dal conflitto. Dopo aver rinvenuto un cadavere nel pozzo che forniva l’acqua a tutto il villaggio, i volontari dovranno rimuovere il corpo morto prima che la contaminazione raggiunga la falda acquifera. Il racconto risulta molto semplice ad una prima lettura, ma i rapporti che si instaurano tra i protagonisti e le persone del luogo danno vita ad uno sviluppo inaspettato e a un intreccio di anime che si sfiorano ma non si comprendono fino in fondo. La diversità e l’odio razziale capace di far scaturire una guerra terribile non potrà mai essere sanato con l’intervento di persone straniere, anche se munite di buone intenzioni, che non conoscono le radici del male e le origini dello scontro.
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Attraverso la scrittura di una sceneggiatura che rimane sempre in bilico tra il dramma e il grottesco, vera forza immane del racconto, il regista spagnolo riesce a coinvolgere lo spettatore alternando immagini molto forti a situazioni più leggere con l’intento perfino di strappare un sorriso (con buon esito). Un cast eccezionale, in cui spicca l’istrionico e magnifico Benicio Del Toro e gli attori Olga Kurylenko, Tim Robbins e Melanie Thierry, completa un’opera che fa pensare e non lascerà indifferenti nemmeno le persone meno sensibili. Un film in cui la speranza di una soluzione possibile non è preventivata e solo la pioggia, metafora di una espiazione universale che lava i peccati di una umanità perduta, è la chiosa finale di un ironico giorno perfetto. E chi si aspettava sui titoli di coda il pezzo omonimo di Lou Reed che da il titolo al film si è dovuto ricredere perché il regista stupisce e conferma la totale mancanza di un futuro di cambiamenti con il brano “there is no time“.

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