LA PAZZA GIOIA, la recensione del film di Paolo Virzì

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La pazza gioia - Photo: courtesy of 01 distribution
La Pazza Gioia di Paolo Virzì – Photo: courtesy of 01 distribution
Dopo avere raccontato una storia che affonda le proprie radici nel nord Italia, scoprendo i vezzi e le debolezze di una fredda e algida Brianza, tratteggiando in maniera perfetta i rapporti e le condizioni sociali dei personaggi de Il Capitale Umano, Paolo Virzì torna nella sua terra di origine, la Toscana, con la sua ultima fatica La Pazza GioiaIl film narra le vicende e l’amicizia fra due donne che si incontrano in una comunità terapeutica in cui vengono curati soggetti con disturbi psichici e della personalità.
Con la complicità di Francesca Archibugi nella stesura della sceneggiatura, Virzì imprime con leggerezza una vitalità inconsueta all’intera pellicola, soprattutto pensando all’argomento trattato. Ispirandosi al capolavoro di Ridley ScottThelma & Louise“, il regista italiano costruisce il lungometraggio come un vero e proprio viaggio on the road, intimo e profondo, dove la fuga delle protagoniste coincide con la ricerca di una felicità che fino a quel momento nessuna di loro ha mai trovato.
Valeria Bruni Tedeschi e Michela Ramazzotti si calano perfettamente nei panni delle due fuggitive mostrando di avere caratteri totalmente diversi ma unite da un vissuto doloroso e dalla stessa solitudine. La prima interpreta una ricca borghese, Beatrice Morandini Valdirana (Bruni Tedeschi), molto loquace e un po’ mitomane, legata  ancora ad un certo tipo di ambiente circondato dal lusso, da ricchezze e frequentazioni di persone potenti; la seconda interpreta, invece, Donatella Morelli (Ramazzotti), una giovane madre  molto fragile e insicura, a cui viene sottratto il figlio dai servizi sociali per affidarlo in adozione a una nuova famiglia.
La pazza gioia - Photo: courtesy of 01 distribution
La Pazza Gioia di Paolo Virzì – Photo: courtesy of 01 distribution
Nel film si percepisce in maniera evidente il tocco femminile e la sensibilità con la quale la Archibugi riesce a far vivere i rapporti fra i personaggi portati sullo schermo dalla Bruni Tedeschi e dalla Ramazotti, uniti dall’ostinazione comune di trovare, forse, un briciolo di ‘pazza gioia’. Purtroppo la pellicola perde di efficacia quando il cineasta livornese vuole sottolineare, mantenendo una continuità tematica con le sue opere precedenti (Ovosodo, Ferie d’Agosto, My Name is Tanino, Il Capitale Umano) l’esistenza di una sempre eterna lotta sociale attraverso l’inserimento di figure secondarie, quasi avulse dallo sviluppo del racconto, per esternare giudizi scontati e intrisi di luoghi comuni.
In alcune circostanze, la ricerca continua da parte dell’autore di una denuncia sulla situazione attuale del nostro paese rimane troppo ancorata alla superficie e oltremodo confusa.
Le attrici sono abili e brave a coinvolgere gli spettatori in questo loro disagio ed in parecchie scene a far emozionare il pubblico, rimarcando un messaggio di speranza ed il concetto secondo il quale tutti noi abbiamo il diritto di avere qualche momento di sana libertà e gioia assoluta. Commovente.
Cristiano Crippa

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