L’eccellenza della commedia americana anni ottanta: Ghostbusters di Ivan Reitman, con Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis, Ernie Hudson e Sigourney Weaver

Who ya gonna call? Ghostbusters!“. Entrato nell’immaginario collettivo come la commedia per eccellenza del cinema hollywoodiano anni ottanta – nonché manifesto di quel periodo filmico – Ghostbusters (1984) di Ivan Reitman è già storia del cinema. Tanto da esser stato scelto, nel 2015, per essere conservato nel National Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Sembra quasi impossibile immaginare un Ghostbusters senza Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis, Ernie Hudson, Sigourney Weaver, e Rick Moranis. Eppure in origine i volti scenici di Venkman & co sarebbero dovuti essere ben altri.

I titoli di testa di Ghostbusters

Nelle idee di Aykroyd e Reitman infatti, il quartetto sarebbe dovuto essere costituito da John Belushi (Venkman), John Candy (Spengler), Eddie Murphy (Winston), e lo stesso Aykroyd; naturalmente come Ray. La prematura morte del primo e precedenti ingaggi degli altri attori tuttavia, non permisero di realizzare la formazione dei sogni del duo creativo. Candy rinunciò al ruolo di Egon per Splash – una sirena a Manhattan (1984); Murphy per Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills (1984); per Venkman si ripiegò così su Steve Guttenberg, che a sua volta rinunciò a Ghostbusters per Scuola di polizia (1984).

Rimescolate così le carte, Aykroyd e Reitman chiamarono in causa i volti scenici di Russell e John di Stripes – Un plotone di svitati (1981): Harold Ramis e Bill Murray. Se per il (futuro) regista di Ricomincio da capo (1993) non ci furono problemi di sorta, per Murray – notoriamente una mina vagante – fu tutto più complesso.

Bill Murray in crisi creativa e un concept tra Topolino e una SWAT del paranormale

L’attore nativo dell’Illinois era infatti in piena crisi realizzativa. Complice il semi-flop de Il filo del rasoio (1984) – in cui il pubblico non lo reputò credibile in un’opera dal marcato taglio esistenziale – ebbe sul set un atteggiamento svogliato. Al picco della popolarità da Saturday Night Live infatti, Murray avrebbe voluto esplorare il suo talento distaccandosi dalla maschera comica cucitasi addosso. Nonostante questo suo malessere però, la sua performance come Venkman darà la marcia in più al racconto di Ghostbusters in termini di cifra comica, tecnica e di talento.

Il brillante interprete di Tutte le manie di Bob (1991) riuscirà comunque nei suoi intenti attoriali elevati. Questo grazie ai sodalizi filmici avviati nei primi anni Duemila con Jim Jarmusch, Sofia Coppola, e Wes Anderson che gli ridaranno nuova vita come interprete indie-drammatico.

Bill Murray

Riguardo la genesi creativa, invece, lo script di Dan Aykroyd cita apertamente – e dichiaratamente – uno dei cortometraggi più famosi della Disney: Topolino e i fantasmi (1937). Piccolo gioiello animato in cui Topolino, Paperino e Pippo gestiscono l’agenzia “scacciafantasmi Ajax”, per poi ritrovarsi in balia di tre fantasmi burloni. Il concept originale, dal titolo provvisorio Ghost Smashers, era decisamente più ambizioso; gli acchiappafantasmi avrebbero infatti percorso lo spazio-tempo armati di bacchette ed elmetti, come fossero una sorta di SWAT del paranormale.

Reitman tuttavia, entrato nel progetto nel 1981, ritenne il concept eccessivo in termini di budget. I due lavorarono così a uno snellimento del racconto grazie anche al contributo del sopracitato Ramis che diede consistenza e pragmatismo; del resto, l’uomo giusto per dar vita ad Egon Spengler. Dell’idea originaria di una narrazione paranormale sullo stile de Guida galattica per gli autostoppisti (1979) rimase ben poco se non le avveniristiche armi in dote agli acchiappafantasmi rilette da bacchette a lanciafiamme protonici.

Ghostbusters: costruire un successo in bilico tra commedia e horror

Sulle note dell’omonima e celeberrima colonna sonora di Ray Parker Jr. si apre il racconto di Ghostbusters nella figura del Dr. Venkman di Murray tra minacce di morte, seduzione e scosse, e test sulla percezione sensoriale. Elementi caratteristici da cui emerge l’arguto e iconico quadro caratteriale di un indagatore/millantatore del paranormale tra poster di Marilyn Monroe, parlantina facile e mimica irresistibile.

L’ingresso scenico del Dr Stantz di Aykroyd alza la posta in gioco, denotando così il vivace e dinamico linguaggio filmico di cui si fregia il racconto di Ghostbusters. Reitman ci fionda infatti direttamente nel vivo dell’azione ponendo le basi dell’intreccio scenico permeato del tutto dell’elemento sovrannaturale. Tra fluttuazioni di libri e un torso di consistenza vaporosa infatti il cineasta de Sei giorni e sette notti (1998) dispiega la dinamica relazionale tra Venkman, Stantz e lo Spangler di Ramis tra incompetenza, competenza e la strafottenza impersonata da un Murray autentico mattatore e trascinatore eccezionale.

Harold Ramis, Ernie Hudson, Bill Murray, e Dan Aykroyd in una scena di Ghostbusters

Delineando così un solido background di ricerca scientifica fatto di tentativi di trapanazione del cervello, mestruazioni e “s’inchini alla scienza”. L’elemento paranormale e il primo incontro con le manifestazioni ectoplasmatiche diventa infatti l’opportunità per rompere gli equilibri scenici fungendo da primo turning point de Ghostbusters. Elemento attraverso cui potenziare, di riflesso, gli intenti degli archi di trasformazione del trio nell’accesso ad un mondo straordinario narrativo-paranormale fatto di palazzine diroccate, catorci rimaneggiati, sguardi da cernia, spore, muffe e funghi; nonché di parche cene pagate con la cassa del fondo cassa.

Venimmo, vedemmo…

È con l’ingresso scenico della Dana della Weaver e del Louis di Moranis che Reitman allarga le maglie relazionali alzando sensibilmente la cifra comica del racconto nel giocare con i preziosi equilibri narrativi del racconto e con le tipicità del ruolo scenico degli Acchiappafantasmi. Al pari di quanto fatto da Gene Wilder e Mel Brooks con Frankenstein Junior (1974) infatti, Reitman fa crescere contemporaneamente le anime narrative comedy e horror di Ghostbusters dando a entrambe la giusta consistenza.

Trovandovi così rimandi nello sviluppo dell’insolita e atipica dinamica relazionale di Venkman e Dana a metà tra le tipicità romantiche di una commedia brillante ed elementi horror degni del Poltergeist (1982) di Tobe Hooper. La compenetrazione delle due anime filmiche infatti alza sensibilmente la cifra stilistica del racconto di Reitman che va così ad arricchirsi di piccole sequenze-gioiello come quella al Sedgewick Hotel nonché la leggendaria climax tra mastri di chiavi, Stay Puft e Gozer il gozeriano.

Stay Puft Marshmallow Man

Nel suono del reattore nucleare dello zaino protonico che s’accende e nella sirena della ECTO-1, Reitman accende i sogni degli spettatori tra Slimer l’insaccheratore e Venkman sme*dato; flussi da non incrociare e infine incrociati; e in quel “ci vediamo dall’altra parte” che sembra certificare, ante-litteram, l’automatico ingresso nell’immortalità cinematografica visto l’incredibile successo. Reitman codifica infatti una risoluzione di conflitto d’antologia in un’apocalisse paranormale che va ad accrescere la dimensione eroica dei suoi agenti scenici in un’autentica lezione di cinema tra umorismo ed horror. Un giocare, infine, con i topos del cinema, e chiudere così; con un duello tra armi nucleari; rituali esoterici; e “il terrore che travalica la capacità di razionalizzare” che è puro cinema avveniristico.

Ghostbusters: la romantica valenza di Slimer l’insaccheratore

Un sequel ingiustamente bistrattato nel 1989, due serie animate spin-off tra The Real Ghostbusters (1986-1991) ed Extreme Ghostbusters (1997), il reboot infelice e senza cuore di Paul Feig nel 2016, e il sequel/soft-reboot Ghostbusters: Legacy (2021) di Jason Reitman che di cuore, invece, ne ha e in abbondanza. All’origine di tutto quel Ghostbusters di Reitman magico e inimitabile nella sua mistura narrativa comico-horror-fantasy a là John Landis. Pura esperienza filmica dal fascino immutato, che a distanza di trentasette anni dal rilascio in sala continua a stupire e affascinare intere generazioni di giovani (e non) acchiappafantasmi nelle sue molteplici declinazioni.

Slimer

A certificare l’insita bellezza di Ghostbusters e del talento dei suoi interpreti basta la valenza filmico-semantica di Slimer. Il fantasmino verde fu infatti ideato come omaggio a John Belushi nel ricordo del suo Bluto di Animal House (1978). Sul set lo stesso Aykroyd scherzava su Slimer dicendo che era lo spirito dell’amico scomparso. E per certi versi, in una rilettura a posteriori, tutti i suoi dispetti; la sme*data a Venkman (il personaggio scritto per lui); il cibo rubacchiato, e l’averlo catturarlo, è come un voler far tornare l’amico scomparso facendolo rivivere attraverso le piccole cose.